Il rischio di perdere un’altra occasione
Autoerotismo statistico. È l’ultima frontiera dell’economia dello zero virgola su cui punta il Governo. Può sembrare un metodo nuovo - «rivoluzionario», per usare una parola abusata dal premier - invece è tutta roba vecchia. Con regole antiche. A iniziare dall’occultamento dei numeri sgraditi. L’Esecutivo dice che il Jobs Act ha portato nel bimestre gennaio-febbraio all’attivazione di 79mila contratti a tempo indeterminato in più (+38,4%). Uno legge e pensa: caspita, la crescita è davvero ripartita. Poi guarda gli ultimi dati Istat relativi a gennaio e scopre che la produzione industriale è diminuita dello 0,7% rispetto a dicembre (addirittura -2,2% su base annua), che il fatturato dell’industria è sceso dell’1,6% (- 2,5% su gennaio 2014), che gli ordini hanno registrato un -3,6% in un solo mese e che il commercio al dettaglio è cresciuto su base mensile di un misero 0,1%. Siccome in un’economia di mercato solitamente accade che l’occupazione aumenta in seguito alla crescita di produzione e ordinativi, non il contrario, ci sono solo due possibilità: o la nuova economia renziana fa miracoli o ci prendono per il naso. In realtà le cose stanno in maniera molto semplice: 1) nessuno sa quanti di questi nuovi contratti sono o meno sostitutivi di altri contratti; 2) essendo il Jobs Act entrato in vigore il 7 marzo, è evidente che non c’entra nulla con i dati di gennaio e febbraio; 3) il fenomeno è quindi figlio degli incentivi offerti dal Governo, i famosi 8mila euro l’anno per tre anni, pagati non con tagli di spesa ma con aumenti di tasse. Annoiarsi con altri numeri non avrebbe senso, basta sapere che tutte le previsioni dicono che l’Italia crescerà quest’anno meno della metà dell’Eurozona. Esattamente come negli ultimi 20 anni. E questo nonostante i soldi della Bce, l’euro super svalutato, costi energetici bassissimi, tassi ai minimi e una stabilità politica che rasenta il cimitero dei partiti. Come mai? Invece di rispondere a questo interrogativo (che riguarda molto il Sud), si preferisce nascondere i numeri molesti e cullarsi nel mantra di «rivedere il segno più». La ragione di questa ripresina insufficiente è che essa è esclusivamente affidata a fattori esterni che spingono l’export. Se non ci sbrighiamo a fare le cose che servono ad alimentare una crescita troppo bassa (scritte troppe volte per ripeterci), quando si chiuderà questa finestra favorevole rischieremo di aver perso l’ennesima occasione. Ma invece di fare riforme che aumentino produttività e investimenti, riducano il debito pubblico e taglino la spesa, Renzi si preoccupa di assumere nuovi dipendenti pubblici, varare l’Italicum e una legge sulla Rai per garantire a una minoranza (la sua) il governo dei prossimi 20 anni. Il risveglio potrebbe essere amaro.