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Ma le Regioni sono da rifondare

Opinionista: 

Da anni, dietro il “territorio”, una parola densa di nobili significati di appartenenza e di radicamento, oltre alle realizzazione di opere rilevanti, si sono “mimetizzate” anche scelte dubbie, per non dire spregiudicate, spesso in contrasto con gli stessi oggettivi interessi delle realtà locali. In molti casi essa è servita addirittura come “passepartout” per progettualità utili soltanto a soddisfare diffuse clientele. Non parliamo poi di tutta la problematica ambientale, del ciclo rifiuti e del torbido indotto, derivante da mancate programmazioni. Un malvezzo, che ha avuto la sua massima espressione nel regionalismo, divenuto un ingordo “pan regionalismo”, qualcosa di dirompente rispetto al passato. Se facciamo una breve sintesi di quanto accaduto dopo l’Unità d’Italia, del comportamento avuto dallo Stato centrale in rapporto alle politiche del territorio, del Sud, pur con tutte le approssimazioni dei tempi, è innegabile che il confronto non premia le Regioni. I risultati non saranno stati ottimali, comunque puntarono a una politica di sostegno, finalizzata ad attrezzare aree, totalmente tagliate fuori da ogni collegamento. In questa luce, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dopo la fine delle politiche differenziate al Sud, promosse dalla “Destra storica”, vanno visti gli interventi, come la legge speciale per Napoli, alcune successive opere urbanisti che e infine, dal 1950, la stessa istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. La cui azione è stata fondamentale. Non siamo noi a dirlo ma eminenti meridionalisti di ieri e di oggi. Purtroppo con il varo delle Regioni, i trasferimenti previsti e attesi, che avrebbero dovuto ottimizzare il rapporto tra istituzioni e territorio, sono stati inconcludenti e deludenti. Il nuovo Ente invece di fare da rigoroso organismo di programmazione di una nuova politica più vicina alle comunità, se n’è dimostrato lontano per scelte non coordinate: una serie di interventi a pioggia, che hanno lasciato le cose come stavano, anzi peggio. Basterebbe a provarlo l’immenso problema dell’assetto idrogeologico, ancora smagliato e fragile, nonostante i miliardi spesi, prima, durante e dopo ogni emergenza. Purtroppo la logica del consenso ha avuto la meglio sul bene superiore della collettività, trasformando il decentramento non in una opportunità di modernizzazione e di sviluppo ma in un “votificio”. Lo lascia sospettare anche un curioso e singolare studio di qualche anno addietro, che, segnalava in corrispondenza di consultazioni nazionali e regionali, una parossistica impennata delle bollette telefoniche dei vari assessorati. Studio che ha avuto ben altre e più amare verifiche dall’impiego dei fondi strutturali, spesi per finalità anguste, come quella di presumere di fare politica culturale acquistando palazzi gentilizi per tenervi dentro sagre e tavolate. Questa è la realtà regionale, fatte salve le eccezioni di efficienza, troppo poche per fare primavera. L’auspicio è che la vicina sfida di maggio tra Caldoro e De Luca, dopo le schermaglie delle primarie, ruoti intorno a una svolta non più rinviabile, competitiva, di qualità. Ora possibile. Visto che il vecchio nella nostra Regione pare davvero archiviato.