La ballerina spagnola Lucia Lacarra: «Amo il calore dei napoletani»
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Sab 24 Febbraio 2018 14:21
di Gemma Russo
NAPOLI. Il teatro Bellini ha ospitato la prima edizione del “Bellini International Dance Gala”, progetto messo in essere dalla coreografa Emma Cianchi e dalla giornalista Manuela Barbato, in collaborazione con Giuseppe Canale, ballerino napoletano della “West Australian Dance Company”. Per due sere sullo stesso palcoscenico hanno danzato insieme le stelle più brillanti della danza mondiale, regalando al pubblico napoletano un’ora e dieci di intensa emozione. Abbiamo incontrato la spagnola Lucia Lacarra (nella foto di Federica Capo), tra le più brave danzatrici e interpreti contemporanee.
Non è la prima volta che danza a Napoli: come trova questa città?
«Sono stata tante volte a Napoli. È, però, la prima volta che danzo al teatro Bellini. Mi piace il calore della gente di questa città. Mi ricorda quello della mia terra che non si affaccia sul Mar Mediterraneo ma i modi di fare della gente sono simile ai vostri. Siete sempre sorridenti. Questa cosa mi piace tanto».
La danza per lei cos’è?
«La mia vita. La mia scelta ogni giorno. È quello che ho sempre voluto fare sin da piccolissima. Mi sento una persona fortunata perché non solo faccio quello che avrei sempre voluto fare ma ho avuto la fortuna d’avere il talento per farlo a questi livelli. Questo è stato un regalo».
Quanti anni aveva quando ha iniziato?
«Sono nata in un paese piccolissimo, chiamato Zumaya, nel nord della Spagna. Era talmente piccolo da non avere neanche un’accademia di danza. A 9 anni ho incominciato a studiare e per farlo mi sono trasferita a San Sebastián, un paese più grande a mezz’ora dal mio. Lì lavoravo duramente per un’intera settimana. Era importante vincere la borsa di studio che m’avrebbe permesso di continuare a studiare a Madrid. A 15 anni già danzavo da professionista con il “Ballet de Victor Ullate”. Ero giovanissima anche se mi sentivo già adulta».
Quale dote non deve mancare ad un ballerino per essere bravo?
«Ci sono due elementi indispensabili: la fisicità e il cuore. La prima è necessaria perché è più facile danzare se hai delle determinate doti fisiche, altrimenti faresti delle cose non adatte al tuo corpo. È però il cuore a fare la differenza. Ci sono in giro tanti ballerini bravissimi. Su YouTube o facebook vedrà filmati in cui si fanno delle prodezze tecniche. Piroette, salti, cose incredibili che difficilmente vedrà fare su un palcoscenico. Le doti atletiche sono importanti ma la danza è un’arte e bisogna essere capaci di comunicarla, di trasformarsi, di prendere le proprie emozioni e metterle sul palcoscenico. La chiave è danzare con l’anima e con il cuore, non solo con il corpo».
Quando è sul palcoscenico, quanto è difficile trasmettere al pubblico l’emozione che le pulsa dentro in quel preciso istante?
«Per me non è mai stato difficile. Se ho deciso di fare della danza il mio lavoro, è proprio per quel preciso attimo. Lavorare sul mio corpo con l’esercizio è dare a questo un vocabolario, una forma nella quale il mio essere trova espressione. Necessario è conoscere i passi e la coreografia. Ma, se ho scelto di fare della danza la mia vita è per la connessione che si crea, per essere ogni sera in un ruolo diverso, vestire non i panni ma la pelle di un personaggio, vivere le emozioni di questo anche se non sono mie, cercando di capirle, sentendole intensamente per poi trasmetterle al pubblico. Quella è la ragione, il motivo per cui mi vede danzare sul palcoscenico. Non è solo ballare. È un momento di verità in cui davanti a te non hai lo specchio per controllare la tecnica. Ti lasci andare. Il palcoscenico diventa adrenalina pura che non ti stanchi mai di vivere».
Cosa direbbe ad un giovane il cui sogno è danzare per professione?
«Di lavorare sodo poiché è un mondo difficile. Ci vuole sacrificio e disciplina. Quest’ultima è quella che ti dai tu stesso e non gli altri. Ti imponi una condotta perché sai che questa è buona per te, per il tuo lavoro e che con il passare del tempo ti porterà dei benefici. Non bisogna poi dimenticare che siamo artisti e non facciamo ginnastica. Quando si è sul palcoscenico, il danzatore deve avere coscienza del suo essere speciale e diverso dagli altri. La diversità è la nostra forza, ciò che diviene indispensabile in scena. Deve conservare la sua personalità, il carattere, la maniera di camminare, di guardare. Deve essere vero. Non emulare quello che fanno gli altri ma sentire e essere sé».
Quindi il talento è nella diversità e nel non aver timore di mostrarla?
«Sì, fare un pezzo in scena è dire qualche cosa a qualcuno. È arte. È quello a fare l’artista, una persona unica con emozioni uniche e che ha una sola maniera per poterle comunicare: danzarle. Nel fare questa professione bisogna cercare l’equilibrio tra tecnica e cuore. La prima è importante ma se uno volesse essere perfetto tecnicamente dovrebbe avere un costante controllo su di sé. Il controllo intrappola le emozioni, mentre essere degli artisti significa lasciarle andare senza aver paura».
Come ha capito che la sua strada era nella danza?
«Non saprei dirglielo. Avevo appena 3 anni e già dicevo di voler essere una ballerina. Eppure nella mia città non c’era neanche una scuola di danza, né nella mia famiglia qualcuno con questa passione. Tutti pensavano fosse il desiderio di una bambina che oggi vuole fare la danzatrice, domani il dottore e dopodomani la maestra. L’ho sempre affermato con decisione. Era il mio istinto. Lo avevo dentro e senza sapere come. Non ho mai cambiato idea in tutti questi anni. Una fortuna».
Non è semplice arrivare ai suoi livelli. Avrà avuto momenti difficili. Come ha fatto a non mollare?
«Certo che ne ho avuti. Questo lavoro è difficile soprattutto quando si è tanto giovani. La maturità deve arrivare presto poiché quello della danza è un mondo duro, dove non tutti ti vogliono bene e dove c’è molta competizione. Mi sono creata una barriera di protezione. Sono un’artista sensibile che facilmente è ferita dal mondo intorno. Allora, ho imparato a proteggermi cercando di non diventare fredda e dura. È l’amore che ho per questo lavoro a farmi andare avanti».
Mi racconta una sua dote?
«La sensibilità. Questa dote può anche fare molto male. Ho sofferto molto per questo mio modo di essere. Non voglio cambiare. Arricchisce anche il mio lavoro».
Ha rimpianti?
«Mai. Molte volte ho sbagliato ma anche dagli sbagli si impara. Mai avere rimpianti. Meglio fare che non fare, senza avere paura».
Cosa desidera?
«Per la verità in questo momento tante cose nuove sono arrivate e stanno arrivando nella mia vita. Da settembre prenderò la direzione artistica del “Víctor Ullate Ballet”. Ritorno alla mia prima compagnia in veste diversa. Desidero fare un buon lavoro. Ci vado a mettere tutto il mio cuore e la mia passione, le stesse che porto ogni volta con me sul palcoscenico».