San Carlo, piace “Il castello del principe Barbablù"
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Mar 23 Gennaio 2018 13:54
di Massimo Lo Iacono
NAPOLI. “Il castello del principe Barbablù” di Bartok (proposto al San Carlo nel concerto sinfonico dello scorso weekend, direttore Juraj Valčuha) è opera di repertorio Oltralpe ed invece da noi no: perciò é un evento una sua esecuzione. Ogni tanto per un caso imperscrutabile il “Castello” compare nel cartellone operistico del San Carlo: è partitura certamente suggestiva, evocatrice di favola ed orrore al contempo, ma che lascia indifferente gran parte del pubblico nostrano dell’opera lirica, sia perché nel lavoro mancano assolutamente i momenti vincenti, che afferrino anima e corpo degli spettatori, sia per l’ossessiva presenza nei cartellone a Napoli ed oltre della “Boheme”, della “Traviata” con il loro nefasto analfabetismo musicale di ritorno. A gustare la musica di Bartok sono stati soprattutto gli abbonati più colti e curiosi di ascoltare musica del Novecento. Musica ormai secolare comunque. Ancora sono gli appassionati della musica sinfonica ad interessarsene. Ed eccoli accontentati, con la singolare opera nella stagione concertistica, per giunta senza il fastidio di un allestimento scenico diventato oggi spesso una presenza quanto mai irritante e fuorviante. Tuttavia il “Castello” di Bartok al San Carlo è stato sempre trattato bene sia dal punto di vista teatrale sia da quello musicale, sempre con realizzazioni di prim’ordine. Ed oggi l’opera - percepita come un poema sinfonico di Strauss, magari un poco più lungo, e meno lunga di una sinfonia di Mahler, con due soli cantanti (quindi a limitato costo, dal punto di vista della gestione del teatro) - è stata proposta ancora una volta e trattata proprio benissimo, porgendola al pubblico della stagione sinfonica con l’ottima guida del direttore stabile Juraj Valčuha che, per Bartok come per Prokof’ev, sembra avere sensibilità speciale. Dissonanze e fulgori timbrici, la variegata armonia, la mobilità ritmica, la delicatezza nella realizzazione dei passi più dolci e sensuali nonché l’autorevolezza in quella dei passi più concitati e drammatici, perfino le assonanze con la produzione coeva di altri musicisti: tutto è stato assolutamente equilibrato e coerente, con risultati in cui l’orchestra, assai ben condotta, si è fatta onore, come in tutte le complesse imprese di prim’ordine in cui la coinvolge il bravissimo direttore stabile: per la gioia di noi tutti, finalmente. L’esordio e la fine dell’opera così affini hanno avuto la medesima resa poetica con una sottile varietà d’intonazione ovviamente, e pure accuratissimo e convincente è stato il succedersi dei singoli “capitoli” del concentrato racconto. I due protagonisti erano Gabor Bretz (Barbablù ed araldo nel prologo senza musica: in entrambe le situazioni con fraseggio scultoreo) e Violeta Urmana (Judit), cantanti di spicco assolutamente assai lodevoli per il sapiente impegno espressivo cui hanno volto i loro possenti mezzi vocali. Interpreti di assoluta qualità, perfino di indubbio fascino ed appeal che certo i costumi avrebbero nascosto, ed anche per il carisma. Di Violeta Urmana si ricordano altre importanti presenze al San Carlo, perfino con Muti ed i Filarmonici di Berlino in una memorabile matineè di qualche anno fa. Ma soprattutto l’insigne ospite fu la straordinaria Kundry nel “Parsifal” diretto da Gergev con Domingo a Ravello sul declinare del passato secolo. Per molti - evviva - in questa occasione c’è stata la scoperta del truce “Castello”, che fa parte della memoria di bambini di tempi lontani, cui si raccontavano le favole di Perrault (da cui il testo è stato ricavato). Nella seconda parte del programma è stata eseguita ancora una volta, e sempre con grande piacere di tutti, la musica di un altro grande compositore dell’Est dell’Europa, quella di Antonin Dvorak, con la sua travolgente sinfonia n.8 (oppure n.4 secondo antica indicazione). È stata questa una pagina fortunatissima nella storia del San Carlo poiché l’hanno diretta anche Claudio Abbado e George Pretre (di cui ricorrono in questi giorni gli anniversari della morte) in anni lontanissimi: l’ascolto di quelle esecuzioni, impresso per sempre nella memoria e nel cuore di chi abbia avuto la gioia di ascoltarle, come chi scrive, ne ha fatto una partiture amatissima anche con ripetuti ascolti domestici dal disco, all’epoca vinile e pure di difficile reperimento. Somma rimane l’edizione diretta dal grande e dimenticato dai più Georg Szell. L’orchestra del San Carlo qui ancora è stata ottima. E Juraj Valčuha ha diretto con un insolito abbandono al canto ed alla danza, tratteggiando una esecuzione di riferimento assoluto. Eccellente concerto, che forse rimarrà come il migliore della stagione. Dunque musiche delle insigni monarchie che facevano parte dell’impero d’Austria, e che ricordano la ricchezza artistica delle culture fiorite all’ombra dell’Aquila bicipite. Il tutto proprio all’inizio in cui si ricordano i cento anni dalla prima esecuzione del “Castello”, nonché dell’anno in cui si ricorda il centenario della fine della monarchia degli Asburgo e la conquista dell’indipendenza dell’Ungheria di Bartok e della Boemia (allora diventata Cecoslovacchia con l’unione di Slovacchia, la terra da cui viene il maestro Valchua, e Moravia e Rutenia Carpatica) di Dvorak. A fine concerto era soddisfattissima in particolare quella parte del pubblico avvezza a frequentare i concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, della Scala, etc..In più si auspicano i cicli completi delle sinfonie di Prokof’ev e Dvorak.