NAPOLI. Torna in scena a Napoli, da martedì 20 a domenica 25 marzo al teatro Mercadante, lo spettacolo “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco”, il testo di Stefano Massini vincitore del “Premio Tondelli” 2005, con la regia di Alessandro Maggi e protagonista, nei panni del grande pittore olandese, un superbo Alessandro Preziosi (nella foto di Manuela Giusto). Con lui, a condividere la scena, Francesco Biscione, Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Alessio Genchi, Vincenzo Zampa. Le scene e i costumi sono firmati da Marta Crisolini Malatesta; il disegno luci è di Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta; le musiche sono di Giacomo Vezzani. La supervisione artistica è dello stesso Alessandro Preziosi. La produzione è di “Khora.teatro”, “Teatro Stabile D’Abruzzo” in collaborazione con “Festival di Spoleto60”.
Accolto con successo, lo spettacolo racconta del maestro olandese Vincent Van Gogh nei giorni del suo internamento nel manicomio di Saint Paul de Manson. Come può un grande pittore vivere in un luogo dove non c’è altro colore che il bianco? È il 1889 e l’unico desiderio di Vincent è uscire da quelle mura, la sua prima speranza è riposta nell’inaspettata visita del fratello Theo che ha dovuto prendere quattro treni e persino un carretto per andarlo a trovare. Attraverso l’imprevedibile metafora del temporaneo isolamento di Vincent Van Gogh, lo spettacolo è una sorta di thriller psicologico attorno al tema della creatività artistica che lascia lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine.
«La scrittura di Massini è limpida, tagliente, e nella sua galoppante tensione narrativa il serrato e tuttavia andante dialogo tra Van Gogh e suo fratello Theo, propone non soltanto un oggettivo grandangolo sulla vicenda umana dell’artista, ma piuttosto ne rivela uno stadio sommerso. Van Gogh, assoggettato e fortuitamente piegato dalla sua stessa dinamica cerebrale si lascia vivere già presente al suo disturbo. È nella stanza di un manicomio che ci appare. Nella devastante neutralità di un vuoto. E dunque, è nel dato di fatto che si rivela e si indaga la sua disperazione. Il suo ragionato tentativo di sfuggire all’immutabilità del tempo, all’assenza di colore alla quale è costretto, a quell’irrimediabile strepito perenne di cui è vittima cosciente, all’interno come all’esterno del granitico “castello bianco” e soprattutto al costante dubbio sull’esatta collocazione e consistenza della realtà. La tangente che segue la messinscena resta dunque sospesa tra il senso del reale e il suo esatto opposto».
   Teresa Mori