Il Caffè Arabo di piazza Bellini apre le porte alla poesia araba cantata
La cultura araba attraverso la poesia raccontata martedì 23 maggio dal cantautore Nabil Salameh e dai docenti universitari Monica Ruocco e Simone Sibilio
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Sab 20 Mag 2017 09:09
La nostra cultura occidentale e occidentalizzata da uno statunitense zefiro di ponente, che come subliminale brezza si è insinuato nelle nostre coscienze sino a imporre stereotipi e modelli non solo economici ma soprattutto culturali, ha rinnegato, vestendosi di un apodittico truismo di stampo dogmatico, tutto ciò che in arte non fosse stato figliato, come partenogenesi d’ispirazione divina, dal classicismo di derivazione greca e latina prima e anglosassone poi. Si è, quindi, attribuito l’epiteto di “nomen nescio” a quanto l’intelletto umano ha generato, se privo dei caratteri “somatici” occidentali. Ma fortunatamente anche i rinnegati hanno una voce alla quale la globalizzazione e i suoi canali mediatici d’informazione, oggi privi delle trincee di confine scavate dai conservatori culturali, danno eco e visibilità, così da far gridare quel nome negato, per imporlo al mondo come patronimico del suo “generante” artistico. Basta aprire un qualsiasi libro di storia per appendere che la storia stessa nasce nella terra di "Sumer", in quella mezza luna fertile compresa tra le anse del Tigri e dell'Eufrate, che da millenni "tracimano", in uno con le loro acque, un vissuto umano carico di un'intensità unica per continuità temporale. Ed è proprio in questa terra in cui ha avuto inizio la nostra storia, e che purtroppo ancora oggi riempie (di una triste storia) l'odierna attualità, che si è imposta, come arte, una secolare tradizione di letteratura e poesia che alligna nella sofferenza culturale e umana dei propri artefici e interpreti. Tra questi Nabil Salameh, cantautore dei Radiodervish e docente al Conservatorio di Monopoli, nonché intellettuale arabo della diaspora, che nel solco della tradizione letteraria e artistica della sua Palestina ha intrapreso un lavoro di ricerca lirica, miscellanea d’impegno sociale e civile e di recupero e divulgazione del patrimonio poetico culturale arabo antico e moderno, sia esso espresso dal repertorio sufi, mitologico e folcloristico o opera dei grandi poeti arabi del nostro tempo. E proprio Nabil Salameh, nei panni di Mutrib (cantante) e Hakawati (cantastorie), affiancato da due esperti di letteratura araba, Monica Ruocco, professore di arabo all’Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e Simone Sibilio, docente allo Iulm di Milano e alla Ca’ Foscari di Venezia, il 23 sera, offriranno la possibilità a tutti di avvicinarsi a un cultura letteraria e artistica sconosciuta alla maggior parte del “mondo occidentale” e (purtroppo) assente anche nei consueti 'discorsi' sul mondo arabo unicamente incentrati su fatti e tematiche legate alle tensioni politiche e religiose. La serata sarà preceduta da un seminario accademico presso l’aula T1 a Palazzo Mediterraneo, previsto alle ore 16,30 in cui Salameh e Sibilio si soffermeranno inoltre sulle figure di due poeti, molto amati e cantati nel mondo arabo, il siriano Nizar Qabbani e il libanese Talal Haidar, pubblicati di recente in traduzione dall’arabo. (Qabbani N., Le mie poesie più belle, trad. a cura di S. Moresi e N. Salameh, postfazione di P. Caridi, Jouvence, Milano 2016; Haidar T., Il venditore del tempo, trad. a cura di R. Haidar e S. Sibilio, Edizioni Q, Roma 2014). Sebbene non propriamente “giornalisticamente” consono per la presentazione di un evento, mi riservo, in chiusura, lo spazio per un’opinione personale, rilevando come il valore di simili iniziative vada oltre il significato legato alla data “cultura” trattata e alle tematiche alla stessa connessa, essendo significante l’esigenza di proporre all’attenzione generale le forme espressive e artistiche di tradizioni lontane dall’unico nostro “occidentale” punto di riferimento. Conoscere la produzione artistica di popolazioni che sono sempre più parte del nostro vissuto quotidiano è un primo e necessario passo, non solo per meglio comprendere le stesse in un’ottica di più proficua interazione e integrazione, ma è anche un precipuo dovere da parte nostra per restituir loro una dignità culturale che con il nostro narcisismo occidentale abbiamo da sempre negato. Marco Sica
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