Starnone è la Ferrante: il professor Galella ha scoperto il caso
Un contributo del vero autore dello scoop
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Mer 12 Dicembre 2018 09:45
di Luigi Galella
Nel tempo in cui ogni esistenza sembra farsi trasparente, esposta all’occhio vorace e invasivo di una telecamera, il corpo di una scrittrice schiva, tanto riservata da voler scomparire ancor prima di apparire, è un seducente enigma che ci chiama ad attribuirgli una voce e un tono, una cadenza, un'espressione.
Elena Ferrante è un caso letterario, ma anche qualcosa di più. È la creazione di un autore che conferisce al “sé” un valore di intangibilità - così dichiara - ponendosi in antitesi con la rumorosità del mondo contemporaneo, la cialtroneria dell’apparire, il narcisismo che si appaga di una facile e fugace popolarità.
Esistono nella storia letteraria casi simili, ma nessuno identico al suo. Nulla a che vedere con la vicenda esemplare dello scrittore americano Jeremy D. Salinger, autore de Il giovane Holden, che dopo lo straordinario successo del suo romanzo si ritirò dal mondo e si nascose alla stampa e alle telecamere.
La “scomparsa” della Ferrante, invece, precede la sua esistenza. È un sottrarsi preventivo all’abbraccio e al clamore della fama. Una forma di compiacimento sublime del non esserci. Sembra quasi che osservi il mondo, e i tanti che si affannano a cercarla, con l’occhio divertito di chi, fuggendo, ci invita a starle dietro. Rivelando, così, l’intenzione di sfidarci al gioco dello svelamento. Come se, da quelle labbra che possiamo solo immaginare, ci sussurrasse: provate a prendermi. Un gioco ambivalente al quale, anni fa, non riuscii a sottrarmi.
Era il 2005. Mi muoveva la suggestione che l'autore avesse disseminato sul sentiero di fuga degli indizi, che ne rivelavano senza ombra di dubbio l’identità. Che lo avesse fatto deliberatamente, come in un thriller. Pensai di ritrovare tali indizi in due romanzi: L'amore molesto, con cui nel 1992 esordì, e Via Gemito, di Domenico Starnone, del 2000.
Chiunque legga le due opere, chiunque le legga sul serio, non può non rendersene conto. Sono tanti e tali le coincidenze testuali, al di là della chiara affinità stilistica, da costituire di per sé elementi di prova. Per me, almeno, sufficienti a stabilire l'identità dei due autori. Lo scrissi in un lungo articolo su La Stampa. Starnone smentì, non benevolmente.
Ne L’amore molesto si racconta della morte per annegamento di Amalia. La voce narrante è di sua figlia Delia. Da molti anni il padre e la madre vivevano divisi. Lui era stato un marito geloso e violento. Inseguiva la moglie per casa, la raggiungeva e la colpiva al viso, prima col dorso e poi col palmo della mano. Un’insofferenza e una litigiosità estese anche ai parenti di lei. Per il resto, passava la giornata a dipingere, mentre la moglie pedalava sulla macchina da cucire: “un uomo insoddisfatto… perché la gente non lo stimava come doveva”. Un mitomane, che “si immaginava chissà quale destino”. La moglie “aveva avuto una bella fortuna a sposarlo. Lei, così nera, non si sapeva da quale sangue venisse”.
I particolari scelti, fra molti altri, non sono casuali. Rivelano sovrapposizioni di caratteri, oggetti e descrizioni che ritroviamo nell'autobiografico Via Gemito di Starnone. Dove campeggia il ritratto di Federì, padre amato e odiato, pittore di vocazione ma ferroviere di professione: violento, geloso, perso nelle fantasticherie sulla propria, non riconosciuta grandezza di artista.
Scrive Starnone: “Un giorno trovai nell’armadio della camera da letto, in mezzo a tante altre cianfrusaglie, una scatola. L’aprii, c’erano delle foto… di donne nude… sorridevano mostrando i loro luoghi più segreti senza alcuna timidezza”.
Scrive la Ferrante: “Spesso le pose della zingara erano malamente ricopiate da certe foto di donne che mio padre nascondeva in una scatola dentro l’armadio e che io andavo a sbirciare di nascosto”.
Un romanzo del 1992 (della Ferrante), e uno autobiografico del 2000, di Starnone. Se fossero entrambi racconti di finzione penseremmo alla casualità o al plagio. Ma come si può, narrando la propria vita, aderire perfettamente a una storia di fantasia di otto anni prima? Il tenente Colombo non avrebbe avuto dubbi.
Visto che il mistero tuttavia restava aperto, perché Starnone negava risolutamente, nel 2006 per l'Unità mi rivolsi al team del Prof. Vittorio Loreto della Sapienza di Roma per un'indagine oggettiva, che utilizzava un algoritmo basato sulla teoria dell'informazione. Nell'albero filogenetico ricostruito al computer, che comprendeva vari autori, sussurrati in forma bislacca da qualche vocina interessata: Goffredo Fofi, Erri De Luca, Fabrizia Ramondino, perfino Umberto Eco, gli unici a condividere lo stesso ramo, avvinti come Paolo e Francesca, erano Starnone e Ferrante.
C'era forse da avere altri dubbi? Non so perché, invece, dopo i miei pezzi, si iniziò a parlare della stravagante ipotesi di Anita Raja, moglie di Starnone. Del tutto incomprensibile. Se fosse la Raja, infatti, come giustificheremmo le affinità fra i romanzi citati? E come potremmo dar conto della sovrapposizione degli autori?
Se fosse lei, dovremmo incresciosamente desumere che oltre a scrivere i romanzi a firma Ferrante si diletti a redigere anche quelli a nome di Starnone. Diabolica penna: cadrebbe perfino il mito della scrittura “femminile”, che in questo caso feconderebbe quella maschile.
Il recente articolo di Claudio Gatti del Sole 24ore, che propone il suo nome sulla base dei compensi a lei elargiti dalle Edizioni e/o negli ultimi anni, ha suscitato clamore internazionale. Ma il sito Dagospia da tempo batteva su quel tasto, sostenendo che a Roma anche i sassi lo sanno. Temo tuttavia che al buon Dago, e di conseguenza allo stesso Gatti, i sassi li abbiano imbeccati ad arte.
Quando quest'ultimo osserva che Starnone ha acquistato un appartamento del possibile valore di 2 milioni, utilizza il dato come ulteriore prova a conferma della tesi, perché se una coppia vive in regime di separazione dei beni conviene non intestarsi una seconda proprietà. Ma il ragionamento è usato a senso unico. Ciò che vale per Starnone, marito della Raja, non vale per la Raja, moglie di Starnone. Considerato quanto dimostrato finora, logica vorrebbe il contrario.
Ma per chi ancora rifiutasse di credere ciò che a me è apparso da subito evidente, giunsero due nuovi e separati studi stilometrici a confermare la tesi del 2005: uno dell'università di Padova, l'altro dalla svizzera OrphAnalytics. A Padova i libri setacciati sono stati un centinaio. Quelli sovrapponibili? Sempre e solo Starnone e Ferrante, che si confondono l'uno sull'altro. Identico risultato dalla start-up di Martigny. Analisi scientifiche dall'altissimo grado di attendibilità. Di che cos'altro dunque abbiamo bisogno? Che si mobilitino matematici, statistici e informatici dell'intero pianeta? O forse semplicemente che Starnone prenda coraggio? Forse è giunto il momento di celebrare il Pessoa italiano. Non certo un disonore, per lo scrittore di Via Gemito.
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