di Armida Parisi

NAPOLI. Hanno scelto il Napoli Teatro Festival, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, per il debutto nazionale del loro nuovo spettacolo “fedeli d’Amore”. Un successo clamoroso, almeno a giudicare dall’infinita standing ovation finale, che si è ripetuta per tutte e tre le serate in cui è andato in scena, al Sannazaro. Un successo che smentisce chi ritiene che il teatro di ricerca non sia in linea con i gusti del pubblico che, invece, ha dimostrato di apprezzare, eccome. Lo spettacolo è in linea con il progetto sulla “Divina Commedia” che i fondatori del Teatro delle Albe portano avanti già da due anni, in vista dei festeggiamenti per il settecentenario della morte di Dante, nel 2021. Ed è proprio intorno al tema della morte che Martinelli ha ideato una drammaturgia impostata su sette quadri.

Vanno in scena le ultime ore di vita del poeta, mentre, nel suo letto di esule a Ravenna, è sfinito dalla malaria. E, con l’aiuto di una versatile, eclettica, stupefacente Ermanna Montanari, lo spettatore entra nella mente del genio: proprio lui, che nei suoi versi ha dato forma concreta all’aldilà, e che, nell’integrità della sua morale, ha delimitato i confini netti del bene e del male, adesso, mentre si trova sulla soglia dell’abisso che gli succhia la vita, è confuso. Tante voci gli affollano la mente. C’è la nebbia, quella fitta della Romagna, che entra nella stanza e gli scompagina i ricordi. C’è un demone che lo inquieta e un asino, sul cui dorso tante volte il poeta si è spostato, che gli ricorda che tutti i viventi sono in croce. C’è il diavolo che passa in rassegna le bassezze umane e c’è l’Italia che, ora come allora, persiste nel fomentare le divisioni interne piuttosto che elevare lo sguardo “verso il cielo” per far prevalere le ragioni dell’unità. Infine c’è Antonia, la figlia del poeta, che lo assiste nelle sue ultime ore: è la sua voce che rievoca i momenti della giovinezza del poeta, quando insieme con gli amici, si dichiarava “fedele d’Amore”. L’anima che sta per lasciare il corpo  recupera quel tempo lontano in cui il primo incontro con Beatrice, a nove anni, svelò al Dante bambino quello che sarebbe stata la sua vocazione e il suo destino. Ed è in quel momento, in cui il cerchio fra passato e presente si chiude, che il poeta viene accolto da quella Trinità che aveva contemplato nella visione di fede, nel cuore di quell’Amore, il cui mistero luminoso ha cantato come nessuno.

Protagonista indiscussa è la voce. Ermanna Montanari, che legge al centro della scena, la trasforma in una partitura sonora modulandola con stupefacente perizia: sibila quando è nebbia, gracchia da demone, raglia mentre si trasforma in asino, si indigna nell’invettiva politica e diventa dolcissima se usa parole di figlia. Alla potenza della voce si affianca quella della tromba di Simone Marzocchi che sottolinea i vari momenti con la musica di Luigi Ceccarelli: suoni dissonanti, acuti, striduli e assordanti oppure languidi, ansimanti, sospirosi che sottolineano l’andamento oscillante delle emozioni. Stesso discorso per la rara sapienza evocativa degli interventi con le luci e le ombre, opera di Anusc Castiglioni ed Enrico Isola. Testo e voce, parola e immagine, silenzi e musica prendono per mano lo spettatore e lo guidano in un viaggio perturbante e necessario quanto mai: quello che lo mette faccia a faccia con se stesso, le proprie responsabilità, il senso del proprio stare al mondo.