Cinema e televisione: violenza e volgarità
Cari amici lettori, il livello di degrado raggiunto dalla nostra disgraziata città è davvero terrificante. Vorrei dire che abbiamo toccato il fondo ma, purtroppo, l’abisso nel quale stiamo precipitando il fondo non ce l’ha. La sparatoria fra ragazzini nel centro urbano, nella zona dei famigerati baretti, fotografa le tenebre di un tunnel interminabile, del quale non è dato vedere una fine che accenni la parvenza di un barlume di luce. Il questore ha giustamente osservato che non si è trattato di uno scontro di camorra, anche se non è possibile ignorare l’esistenza di un retroterra delinquenziale. C’erano certamente due gruppi di ragazzi, verosimilmente uno della periferia orientale e l’altro del centro (Santa Lucia e Quartieri), che hanno iniziato una rissa per futili motivi e hanno poi giocato con le armi da fuoco. È ben possibile che, in questo particolare caso, i rissanti provenissero da famiglie di camorristi; sta di fatto, però, che in molte precedenti occasioni sono stati protagonisti di scontri armati anche giovani e ragazzini di famiglie “bene”. Ci sono diverse considerazioni da fare. La prima è che la grande maggioranza dei giovani di nuova generazione sono ineducati. Non esistono più le famiglie e non esiste più la scuola. In altri tempi le due istituzioni funzionavano e collaboravano: se uno scolaro sgarrava era punito a scuola ed aveva il resto a casa. Oggi, se qualche volte la scuola punisce un figlio, i genitori si rivolgono alla giustizia amministrativa. La seconda considerazione è che non esistono più modelli validi. Non esistono quasi più persone degne di essere imitate e, se qualcuna ne resta, viene criticata e dileggiata. La terza considerazione è che media e social fanno costante opera di diseducazione. Cinema e televisione propinano costantemente violenza e volgarità: da Gomorra al Grande Fratello non si fa altro che insegnare criminalità e prostituzione. Persino i giochini con i quali adulti e bambini si abbrutiscono fanno scuola di violenza. E che dire dei “social”, nei quali scurrilità ed insolenza regnano sovrane, con intollerabili punte di volgarità nella polemica calcistica? Le risposte, in quasi tutti i dialoghi, scadono spesso nell’insulto e nella sopraffazione, allo stesso modo dei dibattiti televisivi in cui le voci si sovrappongono: il principio è che non bisogna consentire a coloro con i quali non si è d’accordo di far sentire le proprie ragioni. Io so di non essere allineato alla subcultura dominante nella società contemporanea: mi hanno indignato, così, le reprimende a tutti quelli che ragionano, come il prete che non ha voluto solidalizzare con la ragazza “stuprata” che, completamente ubriaca, si è appartata con i magrebini compagni di orgia. I ragazzi di oggi vivono di notte, vagano in branchi e sono imbevuti del pensiero permissivista imposto dalla società dei consumi; pensiero che famiglia e scuola non osteggiano ma incoraggiano. Non può destare meraviglia che accadano fatti come quelli dell’ultimo fine settimana e quei tanti altri che li hanno preceduti. Né ci sarà da meravigliarsi quando ne accadranno ancora nel prossimo futuro e saranno magari ancor più violenti e sanguinosi: non potremo compatire i genitori di ragazzini e ragazzine quattordicenni o magari ancora più piccoli, lasciati liberi di star fuori alle quattro del mattino. Siamo, infatti, nella stessa logica degli sport estremi, laddove si rischia volontariamente la vita senza una buona ragione. Finché non torneremo al buon senso del passato nessuna prevenzione poliziesca potrà funzionare. Siamo in pieno Far West; ma nel Far West chi sgarrava veniva impiccato senza tanti complimenti Senza arrivare a tanto, io credo che, in ogni modo, a mali estremi occorrerebbero estremi rimedi. Uno di questi potrebbe essere il coprifuoco per i minori: se i genitori non sono capaci di tenerseli a casa e mandarli a dormire, li riporti a casa la forza pubblica con le buone o con le cattive. Tutto ciò presupporrebbe, ovviamente, l’esistenza dell’Autorità; ma, ahinoi, non si sa dove sia finita. Il problema, alla fine, è sempre lo stesso. ‘o pésce fète d’a capa!