Collegio uninominale per candidati qualificati
Lo sanno anche le pietre che se si vuol garantire un voto rappresentativo, c’è un sistema che batte ogni altro: quello del collegio uninominale. Preferibilmente accompagnato dal ballottaggio tra i due candidati che al primo turno abbiano raccolto i maggiori consensi. In questo modo vengono prevalentemente eletti candidati qualificati, dato che i brocchi in genere non raccolgono molti voti e soprattutto candidati responsivi: vale a dire soggetti che reagiscono alle istanze del loro collegio, essendo a questo fortemente e personalmente legati. Inoltre, il meccanismo clientelare coinvolge sempre un numero relativamente limitato di voti, cosicché esso ha maggiore difficoltà a determinare le elezioni in collegi uninominali sufficientemente estesi, dove a scriminare è la considerazione di cui più o meno ampiamente gode il candidato. Certo, ogni sistema elettorale ha i suoi limiti ed il candidato autorevole che siede in Parlamento in ragione dei consensi raccolti per proprio merito, non è poi così prono al volere del partito di riferimento: anzi è il legame stesso con il partito che perde di forza. E ciò può creare difficoltà nell’armonizzazione delle politiche pubbliche, dato che le resistenze localistiche risultano più accese. Ma è anche vero che il collegio uninominale produce immediato effetto d’accrescimento del senso di responsabilità da parte degli eletti, proprio in ragione del più diretto rapporto che hanno con la base elettorale. Ed anche in ragione della maggiore visibilità che il candidato di collegio ha sulla scena pubblica, impedendogli di barcamenarsi squallidamente nell’indistinta massa di eletti che nessuno conosce. È del tutto evidente che, pensando in questi giorni alla nuova legge elettorale, i Signori dell’accordo in corso – Berlusconi, Grillo, Renzi – a tutto badano, salvo che a creare a qualcosa che assomigli a rappresentanze politiche. Sembra di poter dire che quanti saranno eletti in esito alle norme in corso d’approvazione, somiglieranno piuttosto a dei rappresentanti legali di soggetti incapaci, che non a genuine dirigenze politiche selezionate dagli elettori. Sì, esattamente così: rappresentanti legali o ex lege, come usava dire. Dato che la legge in preparazione stabilisce solo apparentemente una quota di eletti su base di collegio uninominale, mentre nella realtà chi verrà eletto lo sarà solo molto mediatamente per volontà dell’elettore. Anzitutto, con i collegi uninominali si provvederà a coprire meno del 40 % dei seggi, il 60 % essendo approvvigionato dal listino bloccato, eletto con sistema proporzionale. Ma ciò che meglio illumina il senso dell’operazione, è che nel collegio ad essere eletto per primo – e dunque da solo se al partito non competono almeno due eletti – non è il candidato di collegio uninominale, bensì quello del listino bloccato ad esso collegato. Ed inoltre, l’elettore non avrà la possibilità di scindere il candidato di collegio dal listino di riferimento per cui, scegliendo il proprio candidato di collegio preferito, necessariamente elegge chi è inserito nel listino bloccato. Anzi, elegge prima chi è inserito nel listino bloccato e poi, se ci sarà spazio, il proprio candidato di collegio. Ora, se questo sia o meno un sistema costituzionalmente compatibile con il principio di rappresentatività, potrà dirlo solo la Corte costituzionale, dato che parametri in costituzione non ce ne sono per stabilirlo e dunque è soltanto la singolare inventiva di quel giudice a deciderlo. Ma, a parte la costituzionalità, più interessante è immaginare cosa potrà venire fuori da questo articolato meccanismo. Potrà venire fuori più un qualcosa che assomigli ad una rappresentanza legale, che non ad una rappresentanza politica. Legale nel senso che gli eletti sono tali non per volontà degli elettori, ma per virtù di legge, dato che gran parte di loro – tutti quelli a listino bloccato – non riceveranno alcuna preferenza e spesse volte saranno eletti al posto di quei candidati (presenti nel collegio uninominale) che l’elettore ha inteso effettivamente votare. Insomma, per effetto d’una sorta di sortilegio giuridico, si vota qualcuno e si elegge qualcun altro, e comunque la gran parte degli eletti non avranno mai incrociato la matita dell’elettore. Ovviamente, tutto questo complicato meccanismo non cade dal pero: ma serve a sottoporre l’aula parlamentare alla precisa e ferma volontà di pochi leader. Il che è vero in tutte le democrazie, ma solo in parte. Nel senso che il leader esiste dovunque e la politica ha bisogno di dirigenze ristrette per talune decisioni; ma non è vero sino al punto che l’aula parlamentare risulti composta d’inservienti del padrone. In questo caso, non si parla più di democrazia ma di regime o, meglio, del buon vecchio teatrino della politica italiana. Non c’è che dire, un eterno ritorno