Come mettere ordine nel caos dei partiti
Prima o poi, nonostante gli equilibrismi dei partiti, andare a votare sarà inevitabile. E il voto dovrebbe (dovrà) essere l’occasione per diradare le nebbie che continuano ad avvolgere la vita politica del nostro paese, per ridare ordine ad un sistema che vive in stato confusionale, per restituire i connotati di una corretta democrazia a un ordinamento che, nel corso degli anni, si è trasformato in un vero e proprio sgorbio. Non è un’impresa facile. Superata, di fatto, la divisione tra destra e sinistra così come l’abbiamo storicamente intesa, tutte le democrazie occidentali si articolano secondo uno schema che prevede la contrapposizione tra un’area progressista e riformatrice e un’area conservatrice e moderata. È un modello che da noi, purtroppo, non è, allo stato degli atti, proponibile perché si è creata una situazione innaturale, una confusa mescolanza, una deplorevole promiscuità tra raggruppamenti che non hanno o, quantomeno, non dovrebbero avere nulla in comune tra loro e le alleanze si sono andate determinando non sulla base di un “comune sentire”, ma unicamente in virtù di opportunistiche contingenze. La situazione del centro-destra è, a questo riguardo, illuminante, poiché al suo interno convivono ibridamente una componente moderata, che ha il suo nucleo in Forza Italia, ed una componente radical-populista qual è la Lega. La convivenza in uno stesso “corpo” di elementi così strutturalmente diversi, non può produrre una politica coerente, ha effetti paralizzanti anche se può condurre, come nel caso delle recenti elezioni amministrative, a qualche successo elettorale dovuto più ai demeriti altrui che ai meriti propri. In realtà le due anime dell’attuale centro-destra avrebbero alleati naturali con i quali dialogare. Come non individuare, infatti, tratti comuni tra la linea del Carroccio e quella qualunquista-populista dei cinquestelle di Beppe Grillo? E come non scorgere possibilità di un sia pur temporaneo percorso comune tra i moderati riformisti di Forza Italia e i progressisti riformisti di Matteo Renzi? Si tratterebbe di realizzare, in concreto, una sorta di sinistracentro, magari a carattere temporaneo, in grado, cioè, di garantire la governabilità nell’attesa che la situazione sia tale da rendere possibile la scomposizione di questo “polo” e la tanto auspicata contrapposizione tra progressisti e moderati. È probabilmente questa la soluzione che Matteo Renzi auspicherebbe. Ma sembrano renderla impossibile le turbolenze di una sinistra caratterizzata da gruppi e gruppetti che sembrano formare altrettanti isolotti di un arcipelago quanto mai complesso e difficile da riportare ad una unità, nonostante gli sforzi di chi, come Romano Prodi, è impegnato – come egli stesso ha detto – ad assolvere il ruolo del “vinavil”, cioè del collante in grado di mettere insieme i tasselli di una formazione che, nel corso degli anni, è andata sempre più scomponendosi. È questa incapacità della sinistra di superare i motivi di conflittualità determinatisi al proprio interno con rancori e rivalità anche personali (dei quali sono in molti a condividere la responsabilità), uno dei motivi di fondo che hanno impedito alla sinistra di qualificarsi come stabile e affidabile forza di governo. Il quadro che abbiamo delineato, insomma, ci sembra contribuisca a spiegare quella che potremmo definire “l’anomalia Italia”, cioè una situazione nella quale, assurdamente, all’interno dell’area moderata c’è chi fa il gioco del fronte opposto e viceversa (non sono, forse, i vari D’Alema e Bersani gli alleati migliori dei grillini e dei leghisti?). La speranza – ma intendiamoci, si tratta soltanto di una speranza – è che il prossimo turno elettorale valga a ristabilire un minimo di ordine nel caotico panorama politico italiano. A ben vedere non è chieder molto ma, forse, per lo stato confusionale in cui versano le nostre forze politiche, è fin troppo.