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Come ridare ai giornali le copie e la credibilità

Opinionista: 

Di solito un giornalista non ama parlare troppo della sua professione. Faccio uno strappo a questa regola sia in considerazione di una recentissima notizia secondo cui, nell'ultimo anno i giornali hanno perso - dato sconfortante - il 40% dei loro lettori, sia perché, nello stato confusionale in cui il nostro paese versa, nessuno può più sottrarsi alle proprie responsabilità, tantomeno i giornalisti che, per mestiere, hanno il compito di informare (e, conseguentemente, di formare) l'opinione pubblica. In verità su quest'ultimo argomento, c'è una vecchia disputa poiché non tutti condividono la formula secondo cui "i fatti vanno sempre separati dalle opinioni". Ricordo che Indro Montanelli era solito dire: «L'obiettività giornalistica è forse la panzana più grossa che mi sia capitata di sentire sul nostro mestiere». E a questa affermazione faceva seguire una serie di esempi dai quali limpidamente emergeva che la stessa notizia, fornita in modo diverso, assumeva significati del tutto antitetici. Sono totalmente d'accordo con il Maestro, ma questo non vuol dire che un giornalista debba violare il principio dell'imparzialità. Si può essere di parte, anche "ferocemente" di parte, ma con stile, vale a dire pronti, onestamente a mutare opinione. Il lettore mi perdonerà per questa premessa forse troppo lunga. Ma, poiché per scagliare una freccia, bisogna prima tendere le corde dell'arco, mi è servita per dire che, ad esempio, nel dibattito in corso all'interno del Pd, c'è da parte dei mas media una forte tendenza a schierarsi contro Matteo Renzi. Due precisazioni ci sembrano, a questo riguardo, indispensabili. La prima è che chi scrive non è un adepto dell'ex presidente del Consiglio al quale riconosce alcuni meriti, come quello di aver dato impulso alla politica riformista con una determinazione ben maggiore rispetto a quella dei suoi esangui predecessori, ma anche alcuni difetti come quello di aver voluto accentrare su di sé un eccessivo potere (mantenendo, ad esempio, sia la segreteria del partito sia la guida del governo) e di aver privilegiato, in molte scelte, personaggi di livello non troppo elevato che non gli dessero ombra. La seconda precisazione è che probabilmente, scegliere come bersaglio Renzi è giornalisticamente più "produttivo" di quanto non lo sia centrare l'obiettivo sui suoi concorrenti. Renzi. Nel bene e nel male, ha carisma, cosa della quale i suoi avversari nella corsa alla segreteria sono del tutto sprovvisti. E, per questo, "fa più notizia". Diceva Napoleone Bonaparte: "C'è da avere più paura di tre giornali ostili che di mille baionette". È un paradosso, evidentemente. E tuttavia è fuor di dubbio che, nonostante il calo delle vendite, i giornali sembrano avere ancora un ruolo determinante nella formazione dell'opinione pubblica. Lo hanno certamente in modo diverso dal passato. L'irruzione di Internet sulla scena e il preponderante ruolo della televisione hanno sconvolto il mondo mass mediatico. Ma (siamo eccessivamente ottimisti?) i giornali contano ancora. Di qui la necessità che i giornalisti abbiano consapevolezza di svolgere una funzione fondamentale il cui adempimento richiede due requisiti che non sono in contrasto tra loro: essere imparziali e non rinunciare ipocritamente alle proprie idee. Contemperare le due cose può non essere facile, ma i dati ai quali abbiamo fatto riferimento ci rivelano, inequivocabilmente, che si è interrotto, almeno in parte, non solo il circuito della fiducia tra il mondo della politica e la gente, ma anche quello tra quest'ultima e la stampa. Forse imparzialità e autonomia di giudizio sono gli strumenti più idonei per recuperare sia la credibilità sia le copie perdute.