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Contano le istituzioni non il futuro di Renzi

Opinionista: 

Il dibattito tra le forze politiche appare ormai sempre più concentrato sul referendum che, nel prossimo novembre, dovrebbe dar via libera, secondo i desideri di Matteo Renzi, alla riforma della nostra Carta costituzionale. E, forse, è giunta l’ora di interrogarsi su quale sia la reale portata in gioco in questa consultazione. A leggere i commenti dei mass media e, soprattutto, le dispute sempre più accese che, al loro stesso interno, si vanno accendendo tra i partiti, si ha l’impressione che gli italiani debbano andare alle urne per decidere se mantenere o meno alla guida del governo l’attuale presidente del Consiglio. Non è così. Impostare in questi termini la questione costituisce un micidiale errore al quale ha concorso in maniera determinante – dobbiamo dirlo in tutta franchezza lo stesso premier quando ha affermato che, qualora i “no” dovessero prevalere, egli non esiterebbe ad abbandonare la poltrona di Palazzo Chigi. Ora Renzi sembra essersi pentito di questa dichiarazione, ma “voce dal sen fuggita più richiamar non vale” ed era inevitabile che, dopo un’affermazione di questo tipo, quanti (e non sono pochi) smaniano dal desiderio di rimandare il giovane Matteo nella sua Firenze, passassero all’offensiva, trasformando il voto novembrino in un plebiscito incentrato sul tema “Renzi “sì” – Renzi “no”. L’esito del referendum è stato talmente collegato alla permanenza del presidente- segretario alla guida del governo che questi, volendo a tutti i costi legare il proprio nome alla riforma della Costituzione e rendendosi conto di non godere più del consenso popolare, sarebbe – secondo alcuni – entrato nella determinazione di ribaltare la linea sin qui seguita annunciando che, in caso di vittoria del “sì”, abbandonerebbe la vita politica. È un’ipotesi paradossale alla quale, in verità, non riteniamo di poter prestar fede. Ma il fatto che circoli serve a rimarcare il legame che si è determinato tra l’esito della consultazione e il futuro di Renzi. Ma, in realtà, la vera posta in gioco è un’altra. Siamo pienamente convinti, infatti, che la nostra Costituzione, entrata in vigore il primo gennaio del 1948, sia tra le più belle del mondo se non, addirittura, la più bella. Ma, dal 1948 ad oggi, sono trascorsi quasi settant’anni e, dopo settant’anni, anche le cose più belle devono essere aggiornate, rinnovate, adeguate ai tempi. Lo impongono le trasformazioni che in questo periodo sono intervenute nella società che hanno profondamente modificato il nostro stesso modo di vivere e dalle quali una Costituzione non può assolutamente prescindere senza correre il rischio di collocarsi fuori dal tempo nel quale deve essere operante. Del resto non si può dire che di questa esigenza di modernizzazione le forze politiche non siano state consapevoli se è vero che, dal 1983, cioè già da trent’anni, hanno cercato di realizzare il rinnovamento della Carta. Con questo intento, una dopo l’altra, si sono succedute ben tre commissioni bicamerali (quella presieduta da Aldo Bozzi tra il 1983 e il 1985; quella guidata da Ciriaco De Mita e Nilde Jotti tra il 1992 e il 1994; quella con alla testa Massino D’Alema tra il 1997 e il 1998). Nessuna di queste commissioni è riuscita a condurre in porto la riforma. Ora siamo ad una svolta. Che la riforma, così come Renzi l’ha voluta, sia imperfetta è fuori discussione. Ma vien da chiedersi – non dimenticando il vecchio adagio secondo cui “il meglio è nemico del bene” – se sia davvero il caso di mandare all’aria tutto il lavoro compiuto (al quale, sia detto, per inciso, gli attuali oppositori avrebbero potuto dare, quando se ne è discusso in Parlamento, un più attivo contributo). Una cosa ci sembra certa: se la riforma sarà bocciata passeranno anni prima che ad essa si torni a porre mano e chili di polvere si accumuleranno sulla nostra Carta costituzionale, sino a trasformarla dalla più bella alla più sorpassata del mondo. È questo il tema che dovrebbe esser posto al centro del dibattito e sul quale – entrando nel merito – le forze politiche dovrebbero illuminare i cittadini i quali hanno il diritto di sapere se la riforma per la quale il presidente del Consiglio si batte con tanto vigore, rinnova realmente, sia pure in modo non del tutto perfetto, le nostre istituzioni (che sono quel che conta) o è un “mostro” ed è meglio lasciar le cose come stanno ? Insomma, la vera posta in gioco non è la sorte di Renzi che ci sembrerebbe più saggio legare ad altri temi e ad altri momenti della vita politica, ma l’efficienza delle istituzioni.