De Magistris a un bivio: Comune o “leadership”
Per chi ha poca memoria delle vicende amministrative di Napoli - la cui tormentata storia richiede davvero quella proverbiale di un elefante - è giusto ricordare che quando dLuigi e Magistris conquistò, la prima volta, per grazia ricevuta, Palazzo San Giacomo, annunciò che un solo mandato da sindaco non sarebbe potuto mai bastare per risollevare le sorti della città. Cosa che confermò nel giugno di un anno fa quando è stato rieletto sindaco, grazie a un astensionismo record, che portò al voto solo una parte minoritaria dell’elettorato. Dopo tali premesse, ci saremmo aspettati che un sindaco, consapevole della serietà di ciò che aveva detto, avrebbe dato corso alle sue promesse. A farcelo sperare, oltre allo stato delle cose, poco esaltante per la città, che ha pagato e paga a caro prezzo le conseguenze di troppe amministrazioni disattente, erano comunque le buone intenzioni di un giovane, come lui, cui si poteva accordare fiducia. Indipendentemente dal fatto che non avesse un programma e si fosse trovato a quel posto per una serie di circostanze favorevoli. Purtroppo de Magistris, nonostante abbia avuto più di qualche indulgente credito, continua a deluderci, a dare ragione a coloro, che sono molti, i quali giurano che oggi il suo maggiore assillo non è più Napoli, ma il sogno di una “leadership” di più vasta platea politica in salsa nazional-populista. Insomma Napoli gli starebbe stretta. Non siamo noi a dirlo, lo provano i fatti, che lo vedono in queste ore più impegnato in un’ottica elettoralistica nazionale che locale. Fossimo stati alla fine del secondo mandato, nella condizione di fare un bilancio di dieci anni di amministrazione, fallimentare che fosse, lo si poteva anche capire. A malincuore ma capire. Ma oggi che ci sono tante progettualità da realizzare in seguito al Patto per Napoli, e dopo anni di delusioni e tanti bocconi amari c’è da recuperare la stagione perduta delle grandi pianificazioni, diventa impossibile seguirlo. I suoi disegni sanno di diserzione. Non vogliamo usare parole grosse ma di questo passo ci troveremmo davvero di fronte a una sfacciata “dicotomia”, alle contraddizioni di un potere, che dice una cosa e ne fa un’altra. Qualcosa che potrebbe comunque configurarsi come un voltafaccia per chi lo ha votato. Pochi ma comunque legittimati da una consultazione democratica che lo vorrebbero fino all’ultimo giorno a Palazzo San Giacomo. Insomma quello che si sta profilando sconcerta e molto. Mentre egli continua a esortare Napoli, il suo popolo alla “rivoluzione” civile, alle “magnifiche sorti e progressive” per cambiare la città, non si capisce perché, allo stesso tempo, si prepari ad abbandonarla nel momento in cui diventa più necessaria la vigilanza di un sindaco. Non è certo un bel vedere. Da una parte c’è “il sentimento” del tribuno, che continua a promettere un mondo nuovo e dall’altra invece emerge prepotentemente il “calcolo razionale” del politico, che punta a costruirsi un suo futuro. Come può operare bene un sindaco con questo conflitto?