Gli elettori di destra non sono di serie B
“Va dove lo porta il cuore”. Così Pier Luigi Bersani ha ironicamente commentato l’affermazione di Matteo Renzi secondo cui “i voti della destra saranno decisivi al referendum”. La dichiarazione del presidente del Consiglio, impegnato come non mai nella campagna referendaria, ha scatenato, com’era prevedibile, roventi critiche da parte dell’opposizione interna del Pd di cui Bersani è l’esponente più autorevole. “Non è una bella frase” ha detto Gianni Cuperlo. E Roberto Speranza ha manifestato il timore che, all’indomani del referendum, ci si possa trovare “tutti iscritti al partito della Nazione”. Alle contestazioni il segretario-presidente ha replicato a muso duro che “se non prendi il voto degli altri rimani minoranza”. E ha aggiunto: “Io voglio essere maggioranza e cambiare le cose”. La disputa è tuttora in corso e, per le implicazioni che essa comporta, merita qualche riflessione. Chi ha torto? Chi ha ragione? Partiamo da un assunto che ci sembra incontrovertibile: gli elettori, siano essi di destra, di sinistra o di centro, sono tutti uguali. Non esistono elettori di serie A e di serie B. È un concetto di lapalissiana evidenza poiché nell’urna i colori si annullano. Ma non da oggi, una parte della sinistra ha rifiutato di accettarlo considerandosi alla stregua di una sorta di hortus conclusus, di “giardino recintato”, come quello che, nei monasteri e nei conventi medioevali, veniva cinto da un alto muro che lo isolava dal mondo esterno cosicché a nessuno fosse consentito di entrarvi. Qualcuno ha definito questo atteggiamento “una presunzione antropologica”, il che in gran parte spiega le ragioni per le quali, storicamente, la sinistra ha sempre trovato ostacoli nella sua corsa verso il potere. In essa, infatti, ha sempre prevalso la linea dell’isolamento, il desiderio di evitare ogni forma di contaminazione, ritenendo contaminanti, infatti, gli altri soggetti politici. È universalmente noto, del resto, che lo stesso Berlinguer, che fu un leader certamente dotato di uno straordinario carisma, fu sottoposto a critiche severe, accusato di arrendevolezza ideologica e molto probabilmente, come emerge dal film sulla sua vita, realizzato da Valter Veltroni, senza la tragica morte di Padova, sarebbe stato messo in minoranza all’interno del partito. È improbabile che questo modo di essere possa modificarsi nel tempo, almeno nel breve tempo. E Renzi sembra essersi reso conto che non è possibile fare affidamento sul sostegno di questi suoi virtuali compagni di partito, sempre pronti a dissociarsi dalle decisioni del governo. È dunque inevitabile che, per rimpiazzare il sostegno di quelli che dovrebbero essere i suoi naturali compagni di strada, il presidente del Consiglio si rivolga altrove. E dove, se non verso quell’area moderata (più di centro che di destra) che più volte, in passato, ha fatto mostra di essere interessata a una riforma istituzionale? Oltre tutto, l’appello di Renzi, più che ai partiti sembra indirizzarsi agli elettori e ciò rende ancor meno comprensibile la levata di scudi dei suoi contestatori anche se non è da escludere che, in realtà, dietro questo appello agli elettori della destra, si celi l’irrealizzata aspirazione di Renzi di dar vita al cosiddetto “partito della Nazione”. La questione posta dalla polemica scatenata dalla minoranza del Pd non è, comunque, irrilevante. Essa, infatti, pone sul tappeto un problema di fondo che è il diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini elettori, principio irrinunciabile di ogni democrazia degna di questo nome, che nel nostro paese, tra conventio ad excludendum e archi costituzionali, è stato troppo spesso disatteso.