Grandi progettualità e “carenze quotidiane”
Quando, nel marzo del 1993, ci fu il varo della elezione diretta dei sindaci, giustamente si levò un generale plauso per il nuovo sistema elettivo, che avrebbe dato al primo cittadino maggiore autonomia, ampi poteri decisionali, non più frutto di estenuanti trattative e compromessi. Tutti certi che si sarebbe andati verso una maggiore efficienza amministrativa rispetto a un passato di diffuse ingovernabilità. Questo sulla carta. Purtroppo il tempo e talune esperienze hanno dimostrato che l’iniziale ottimismo è stato eccessivo. Pur se paventate le riserve su un solo uomo o una sola donna al comando di una città, nessuno poteva immaginare che esse avrebbero portato nel tempo a nuove e altre grane. Molti di costoro - tra cui vanno inseriti di rigore i sindaci di Napoli degli ultimi trent’anni - invece di puntare su una complessiva cura della città, cosa tutt’altro che facile anzi spesso impopolare, hanno preferito puntare su progetti strategici e “luoghi simboli” accattivanti. Un modo per soddisfare le domande di sviluppo urbano competitivo e ritrovarsi, allo stesso tempo, su un’idea identitaria di appartenenza e di rivalsa in un luoghi simbolo di orgoglioso riferimento. Nacquero così le idee di Bagnolifutura, Napoli Est, in principio, la liberazione dalle auto di piazza del Plebiscito, e recentemente del Lungomare. Dietro questa visione, diciamo di profilo autoreferenziale, c’era un preciso disegno, legare le proprie esperienze di primi cittadini a esiti identificabili e gratificanti, rinviando “sine die” la sfida, ardua, impopolare e tosta, del reale cambiamento. Alla fine però il velleitarismo s’è sgonfiato di fronte alla realtà e a montare sempre di più è stata la carenza della quotidianità nella cura, gestione, manutenzione urbane, nel governo delle emergenze e delle problematiche sempre più approssimativo. Lo abbiano visto con Bassolino, Iervolino e ora con de Magistris. Non c’è giorno in cui non si parli ancora di grandi progetti - molti finiti come si sa - poi stringi e stringi, ci si accorge che il peggio è la inconcludenza del presente. Basta seguire le cronache di queste ore, per rendersi conto che, mentre si discute di massimi sistemi, la vita di tutti giorni ci presenta conti salati, fatta di sfiducia, sempre più esasperata e diffusa, dei cittadini. Con una lista di doglianze sempre più lunga: il “restyling” della Galleria è un giallo da “quattro tonalità”, segno di una sciatteria su cui il Comune non mette bocca, pur avendone motivo; nella stazione della Metropolitana di via Toledo i pannelli sulla storia della città, che tanto intriga i turisti, rimossi e poi abbandonati, non si sa quando torneranno dove erano destinati; la videosorveglianza è un rebus; il Palavesuvio va verso la chiusura perché il Comune non fa i lavori necessari per la sua agibilità ed è a rischio l’attività di 3000 atleti. Inutile aprire il capitolo della “movida -selvaggia”. A che serve parlare di grandi progetti se poi tutto il resto langue? Signori del “palazzo”, tornate sulla terra.