Il crepuscolo dell’Occidente
Ho letto ieri su televideo che, secondo un commentatore libanese, l’Isis, indebolito da contrasti che starebbero sorgendo fra miliziani locali e jihadisti venuti da altri paesi, avrebbe da temere più questi contrasti interni che non attacchi esterni. Io non ho elementi per valutare se la supposta debolezza interna del califfato satanico sia reale, ma condivido pienamente l’altra metà dell’analisi secondo cui i tagliagole hanno ben poco da temere gli attacchi del mondo occidentale. In verità, se escludiamo l’eroica resistenza del popolo curdo, i modesti interventi militari del regno hascemita di Giordania e l’assistenza prestata da Teheran agli sciiti iracheni, nulla di concreto si sta facendo per fermare i barbari autori di disumani massacri e criminali distruzioni di vestigia del passato. Notizie molto allarmanti, al contrario, arrivano dal continente africano. La più grave, a me sembra, è l’adesione di Boko Haram, l’altra masnada di tagliagole che controlla parte della Nigeria settentrionale e minaccia i confinanti stati africani, al califfato siro-iracheno. Vero è che Nigeria e Mesopotamia sono assai distanti fra loro, ma un’eventuale capacità di attrazione rischierebbe di incidere sull’assetto geopolitico complessivo. Immaginate, ad esempio, una molto verosimile saldatura fra jihadisti nigeriani e libici (l'espansione di questi ultimi ci riguarda molto più da vicino) e, poi, un’alleanza con somali e sudanesi. Uno scenario che non mi piace per nulla. L’Occidente, ormai non più al tramonto ma alla fine di un inglorioso crepuscolo, sta a guardare. Alle chiacchiere non fanno seguito i fatti. L’Onu ritiene possibili intese diplomatiche con esseri che ben poco hanno di umano, dediti come sono a bruciar vivi i prigionieri, ad addestrare bambini di otto- dieci anni e di entrambi i sessi ad azioni di shahid (come farsi esplodere in un mercato o altro luogo affollato per provocare stragi) e ad altre simili piacevolezze. Usa e Francia, sollecite nel muover guerra a quei dittatori, come Saddam e Gheddafi, che erano capaci di tenere a bada i mostri assetati di sangue, non si muovono. Acquistano, peggio, sempre maggior consistenza le voci su segreti accordi con l’establishment statunitense che avrebbero favorito lo sviluppo del califfato: foto, che ritraggono uomini e donne del governo americano con i responsabili dell’attuale barbarie, danno molto da pensare. Come se tutto ciò non bastasse, il relativismo che sta annientando la civiltà occidentale produce effetti incredibili sul pensiero, le parole e le opere di persone che dovrebbero essere responsabili del nostro futuro. Il presidente Obama, ad esempio, che più non meraviglia per le sue uscite (spiegabili, forse, con le oscure origini afro-islamiche), in occasione del National Prayer Breakfast, ha condannato duramente il cristianesimo. La violenza, ha affermato l’abbronzato premio Nobel per la pace, “non riguarda solo un gruppo o solo una religione”, poiché “in nome di Cristo sono stati compiuti crimini orribili”, e ha poi invitato a ricordare “quanto successo durante Inquisizione e Crociate”. Paragoni inaccettabili fra islam e cristianità vengono addirittura da personaggi dell’alto clero, come il cardinale Dolan, arcivescovo di New York, che propone una inverosimile equazione: “l’Isis sta all’islam come l’Ira sta al cattolicesimo”. Pur di difendere l’islam e l’idea, tanto politicamente corretta quanto realmente erronea, che il califfato non esprima l’ortodossia musulmana, costoro trascurano il dettaglio che Cristo ha predicato l’amore anche verso i nemici ed ha sacrificato soltanto se stesso, mentre Maometto ha predicato la jihad e ha trascorso buona parte della sua vita a guerreggiare. Dolan trascura un altro dettaglio: l’Ira era un’organizzazione dichiaratamente marxista e uccideva sì, ma non in nome di Dio. Io credo che questo modo di pensare sia un vero e proprio tradimento. Vero è che la guerra fra Islam e Occidente è punteggiata di tradimenti sul campo (basti ricordare Gano di Magonza e il Doria che se la filò a Lepanto): ma nel caso nostro, anche se non c’è spargimento di sangue (a parte il mancato ascolto degli appelli di vescovi iracheni e siriani perché sia fermato il martirio delle comunità cristiane), c’è l’insinuazione di un veleno sottile capace di addormentare e forse uccidere le coscienze. Io non pretendo che uomini della nostra società putrescente, in un tempo senza radici e senza onore, abbiano la tempra di un Attilio Regolo, che andò ad affrontare un terribile supplizio per tutelare da un lato la patria e rispettare dall’altro la parola data. Ma, suvvia, anche i peggiori criminali sanno distinguere fra “i nostri” e “i loro”! Perdonate: dimenticavo che oggi la scuola non ha tempo di insegnare la vicenda dell’eroe romano, occupata com’è ad evitare la iattura che il parroco benedica le aule. Accade così che l’Italia sia governata da uno che, pur consapevole di aver bisogno dell’aiuto della Russia per mettere una pezza sulla grana libica, va a deporre fiori sulla tomba dell’oppositore (sconosciuto in Italia) assassinato dai ceceni: una vera e propria provocazione, della quale gradirei che qualcuno mi spiegasse l’opportunità.