Il novello paladino della questione morale
Vi ricordate la questione morale? Enrico Berlinguer ne fece una battaglia di bandiera. In tal modo, l’allora segretario del pci allargò le basi del consenso del più forte partito comunista dell’Europa occidentale. Erano gli anni ruggenti della crescita economica. La vita delle istituzioni democratiche era pur sempre ammorbata, però, dallo sgradevole tanfo del notabilato clientelare democristiano, prima, e pentapartitico, poi. La condivisibile aspirazione a moralizzare il funzionamento della democrazia conquistò, agli scopi del partito della classe operaia, ampie fasce di borghesia perbenista ed illuminata. Oggi, scomparso quel grande partito di massa rappresentativo degli interessi delle classi lavoratrici, sulle sue ceneri è in progressiva costruzione il partito della Nazione il cui mentore è Matteo Renzi. L’ansia garantista ha progressivamente soppiantato, a sinistra, la tensione sulla questione morale. Le ragioni sono facilmente comprensibili; è lo stesso Renzi a riconoscere di essere circondato, anche nel suo stretto ambito familiare, da un certo numero di persone politicamente poco raccomandabili in quanto sottoposte, a vario titolo, a procedimento penale. È lo stesso Renzi a spiegarci che cinque ministri del suo governo – di cui ben tre appartenenti al Pd – sono stati raggiunti da avvisi di garanzia. Le intercettazioni della Procura di Roma hanno fatto emergere, nel frattempo, una non comune propensione alle prassi corruttive da parte di non isolati esponenti della sinistra capitolina, imponendo il commissariamento del Pd romano. Incurante di tutto, in Campania, il partito renziano ha portato strepitosamente a termine un’operazione tecnicamente fuorilegge, facendo eleggere un plurindagato, giuridicamente ineleggibile, alla Presidenza della Regione: l’ex sindaco di Salerno, all’atto della candidatura, era già stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio, all’esito di diversi procedimenti. Considerate le premesse, giammai vi era da attendersi che Renzi avesse inteso ergersi a novello paladino della questione morale. L’irreversibile declino dell’ex cavaliere ha suggerito, anche a sinistra, l’opportunità di espellere la questione morale dall’agenda politica nazionale. Vero è che dinanzi alla legge deve riconoscersi irrinunciabile la presunzione di non colpevolezza degli indagati fino all’esaurimento di ogni grado di giudizio. È soltanto frutto di impudenza da parte del segretario del Pd, però, pretendere, quale mero automatismo, l’affermazione della medesima presunzione di non colpevolezza sul diverso piano dell’opportunità politica. All’abilità del presidente del Consiglio non può sfuggire che la presunzione di non colpevolezza è un principio non estensibile allorquando si tratta di esprimere un giudizio politico sulla credibilità, anche internazionale, del governo e delle istituzioni democratiche. Nessuno disconosce, infatti, che fuori dalle aule di giustizia, la presunzione di non colpevolezza è del tutto impropriamente richiamata soprattutto quando l’avviso di garanzia ad un ministro viene notificato sulla scorta di elementi che rappresentano comunque fonte di ingiustificabile imbarazzo in quanto disvelatori di un discutibile approccio alla gestione della cosa pubblica ed alla destinazione delle risorse finanziarie. La vicenda emersa dall’indagine Mafia Capitale, postula però una questione politica che va oltre quella morale, e che nessuno sembra volere affrontare con la dovuta decisione: occorre denunziare il fallimento dell’esternalizzazione-privatizzazione delle politiche sociali, ossia gli esiti infausti dell’affidamento di tali attività a privati senza scrupoli. L’accoglienza dei migranti è un settore strategico, che determina significative ricadute sull’andamento civile ed economico della vita del paese, e la cui gestione non può continuare ad essere affidata a logiche affaristiche che implicano un vero e proprio assalto alla diligenza volto all’accaparramento delle risorse pubbliche ed all’incentivazione di incontenibili flussi di immigrazione. La struttura del sistema si è disvelata criminogena, un perdurante incentivo alla corruzione politica ed all’ingente spreco di risorse pubbliche con conseguente infiltrazione di gruppi e metodologie mafiose nel tessuto amministrativo istituzionale. Il premier discetta amabilmente, si riempie la bocca di nobili enunciazioni, fingendo di non cogliere che, sull’argomento, la priorità va individuata nel porre in essere rimedi volti a contrastare dinamiche criminali che vanno drasticamente interrotte, anche mediante la radicale riforma delle politiche di accoglienza. Per come fino ad oggi concepite, tali politiche alimentano un sistema criminale finalizzato soltanto allo sfruttamento schiavistico della disperazione dei migranti, all’illecito arricchimento dei soggetti orbitanti nel circuito delle cooperative ed alla frode continuata del popolo italiano.