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Imperversa lo spettro delle “fake news”

Opinionista: 

Uno spettro si aggira per l’Europa, e per l’Italia… . lo spettro delle “fake news”. Oramai il tema imperversa un po’ d’ovunque: nei palazzi della politica, cos. come nei titoli delle prime pagine dei media mainstream, siano essi giornali o televisioni. Alcuni politici sono arrivati a parlare di vera e propria “emergenza democratica”, con la presidente della Camera Laura Boldrini in testa, che ha usato per definire il fenomeno la poetica espressione: “Sono gocce di veleno sulla democrazia”.

Ad essere criminalizzato, con questo discorso, è soprattutto il mondo del web, e dei social network in particolare, oltre alla Russia di Putin, descritta come “la grande manipolatrice” dell’opinione pubblica occidentale, da addomesticare ai suoi inconfessabili scopi. Che il problema esista non c’è alcun dubbio, aggravato tra l’altro da un pubblico di lettori dotato di sempre minore capacità di critica e di discernimento tra informazioni vere e notizie false, dovuta essenzialmente alla diminuzione della qualità dell’insegnamento scolastico ed universitario. Così come è evidente che internet sia per antonomasia il luogo privilegiato di diffusione iperveloce di notizie farlocche: lo dimostrano innumerevoli episodi verificatisi nel corso degli ultimi anni, alcuni pacchiani, altri un po’ macabri, come i falsi annunci di morte di qualche celebrità. La sostanziale assenza di una normativa vincolante per la realtà virtuale globale e, soprattutto, la mancanza di mezzi di controllo e coercizione in mano agli Stati autenticamente efficaci, sono la causa principale della giungla e dei pericoli di ogni genere che germogliano nel cyberspazio.

Ciò che però lascia perplessi in tutta questa vicenda, è l’enfasi in chiave squisitamente politica che viene data alla questione, con l’annessa urgenza di prendere provvedimenti. La sensazione diffusa, e per certi versi giustificata, è che il vero obiettivo che si intende perseguire attraverso la campagna sulle “fake news” ricordi molto da vicino l’istituzione di una qualche forma di censura nei confronti delle voci dissonanti dal “pensiero unico” del “politicamente corretto”. L’impressione è suffragata da alcuni articoli, apparsi qua e là sui principali organi di informazione, tendenti a prendere di mira, in quanto produttori di fake, alcune testate online caratterizzate da un approccio all’attualità che potremmo definire di “controinformazione”, che poi è il sale della libertà di espressione.

Ciò che colpisce è lo strabismo di queste prese di posizione: come definire campagne mediatiche che hanno fatto storia e che si sono poi rivelate clamorose “fake news”? Penso all’aggressione subita dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone o a quella, dai risvolti tragici, delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein con cui venne legittimata la Seconda Guerra del Golfo. Potrei continuare, magari con qualche accenno all’attualità, ma preferisco fermarmi e domandare ai lettori: le testate, certamente minori, che fuori dal coro in quelle occasioni provarono a contrastare tali ondate mediatiche sarebbero forse finite nel novero dei “fabbricanti di fake news” oggi? Insomma, a diffondere notizie false non sono solo le piccole testate online anticonformiste. La televisione da questo punto di vista si è rivelata, nel corso degli anni, ben più pericolosa: la lista dei servizi confezionati secondo le esigenze “editoriali” sarebbe lunghissima e finirebbe per coinvolgere autorevolissimi network, come la Cnn, ad esempio, pizzicata recentemente mentre montava falsi scoop su Trump.

La soluzione migliore per contenere il fenomeno potrebbe essere applicare effettivamente le norme già in essere: da una parte fornendo all’Agcom e ai Corecom regionali il mandato e le risorse per esercitare la vigilanza che gli compete, a tutti i livelli, compreso il web. Dall’altro tutelando, piuttosto che screditarlo come per molto tempo si è fatto, l’Ordine dei Giornalisti nella sua funzione di controllore della deontologia e detentore del monopolio dell’accesso all’attività di professionista dell’informazione e, perché no?, della comunicazione “tout court”. Un ruolo, quello dell’Ordine, da valorizzare, perché votato tanto alla tutela degli operatori, quanto dei fruitori dell’informazione, e che non andrebbe sollecitato ad entrare nel merito delle opinioni, quanto a far rispettare lo spirito della deontologia, la cui essenza è il rispetto della dignità della persona e la verifica delle fonti e dei fatti, da raccontare secondo una verità interpretativa che può essere opinabile, ma che va sempre dichiarata a monte, affinché l’opinione pubblica possa scegliere e valutare.