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In Italia resiste solo la precarietà

Opinionista: 

Che in Italia non si riesca a costituire un nuovo sistema politico, e che nei continui rivolgimenti giochi un ruolo di rilievo il potere giurisdizionale, non è da mettere in dubbio. L’unica cosa che resiste è una prolungata precarietà, prolungata ormai da un quarto di secolo. Non appena una personalità politica di peso s’affaccia all’orizzonte con possibilità di fornire stabilità al quadro politico-istituzionale, ecco che s’avvia, inesorabile, la macchina della giustizia. Indagini approfondite e ripetute quanto poche altre azzoppano Governi e personalità di rilievo, che non senza fatica avevano in corso l’opera di ricostruzione dalle macerie della cosiddetta, mai tramontata Prima Repubblica. Accaduto con una personalità di sicuro rilievo, quella di Silvio Berlusconi, già incappato con il suo primo Esecutivo nell’infortunio Previti-Ariosto, che segnò l’inizio d’una serie interminata e sempre più sofisticata d’indagini su ogni aspetto della sua vita, pubblica, d’imprenditore e privata, che impedirono a quell’uomo la realizzazione d’alcunché, avvinghiandolo in una miriade di legami, condizionamenti, ricatti e compromessi, capaci di tramortire chiunque: e che solo grazie alle eccezionali doti e risorse dell’uomo hanno a lui consentito, dapprima di non soccombere politicamente, di poi di rimanere da protagonista sulla scena, può dirsi sino ad oggi. È poi venuta la volta di Romano Prodi, per vero, da sempre assai più travicello, il cui Governo, nonostante i consensi internazionali ai quali s’appoggiava, è stato sostanzialmente sepolto da un’indagine assai provinciale, che travolse il suo ministro della giustizia, l’attuale sindaco di Benevento Clemente Mastella (per questo fatto è ancora a giudizio dal 2009, assumendo quasi, e forse lo è pure, le fattezze d’un martire paleocristiano). È ora venuta la volta del personaggio che nell’ultimo quarto di secolo, dopo Silvio Berlusconi, meglio ha rappresentato il tipo dell’homo novus: s’è affacciato alla scena politica carico di buone intenzioni, volto all’innovazione, desideroso di lasciare un’impronta di profondo cambiamento nei putrescenti apparati pubblici, apparati che vivono solo d’autoriferimento, non intendono rispondere a nessuno, conducono politiche loro proprie, in sostanza quelle della corporazione, dell’inefficienza, dell’eccellenza nell’unica possibile produzione che loro interessa, la conservazione di (spesso molto modesti) privilegi categoriali. E così abbiamo ora scoperto, o crediamo d’avere scoperto, che intorno al nostro Renzi ruotava una terribile organizzazione criminale, con a capo un vivacissimo padre, in affari niente di meno che con Alfredo Romeo, uno tra i più discussi (e di successo) imprenditori che il Mezzogiorno d’Italia abbia partorito nel secondo dopoguerra. Il nostro Renzi è in una fase critica della sua carriera politica, sta riemergendo dalla dèbacle referendaria, s’è dimesso da segretario del partito e corre per riconquistare la carica e di lì il governo del Paese. Già molti si stanno fregando le mani, ed alcuni svolgono anche il ruolo di testimone "a carico" e di contendente nel Partito. Non male, come commistione italiana. Ora, quel che io intendo dire, non è che Berlusconi, Prodi (Mastella), Renzi (S. e J.) siano stinchi di santo o, chessò, che la Magistratura, con l’aiuto di non disinteressati servizi confezioni a loro carico dossier per incastrare innocenti. No, nulla di tutto questo. Per dire, Renzi ha commesso la massima delle ingenuità politiche, quando ha costituito quel che poi è stato definito il "giglio magico". Quando al potere vanno reti d’amici e non uomini scelti per la loro solidità politica e culturale, quella cerchia, cementata dalle leve del comando, manifesta un’inconculcabile tendenza trasformarsi in cricca, e cioè gruppo d’uomini che si sorreggono a vicenda nel piegare il potere ai propri interessi, politici ed economici. Non so se questo sia effettivamente accaduto, ma la probabilità è da quella parte. Io intendo però osservare un altro fenomeno: che non appena il potere politico s’attesta in un percorso di consolidamento intorno ad un leader, ecco che in Italia subito vengon fuori intercettazioni, pedinamenti, indagini, notizie che corrono sui giornali, rivelazioni malevole e maliziose, che producono una radicale perdita di credibilità per l’uomo pubblico ed i suoi seguaci. Con il che – in un terribile circuito mediatico-giudiziario, nel quale l’un potere sorregge e potenzia l’altro – il gioco è fatto e l’Italia è punto e daccapo. È questo ciclico fenomeno, che trovo inquietante; questo oggettivo fungere della giurisdizione da strumento d’instabilità, in luogo di quello suo proprio d’istituzione integratrice e stabilizzatrice, è un fenomeno estremamente negativo, con risvolti sinistri e che oggettivamente rende la magistratura protagonista di quanto accade nella sfera della politica. Certo, è facile dire che se i politici fossero appunto degli stinchi di santo, tutto ciò non accadrebbe. È facile, ma davvero un po’ troppo semplicistico, perché questo giudizio possa davvero servire a comprendere. La comprensione richiede categorie assai più articolate ed una certa qual attenzione alla Storia.