L’offensiva terrorista e il ruolo dei giornalisti
Sarebbe giusto, forse, che, nello sconvolgimento seguito al tragico “venerdì nero” parigino, anche noi giornalisti compissimo una sorta di esame di coscienza per interrogarci sul nostro ruolo, su come lo abbiamo svolto, su come dovremmo assolverlo. C’è un’antica disputa, anche all’interno della nostra categoria, tra quanti ritengono che la funzione dei giornalisti e dei giornali sia unicamente quella di informare, lasciando al lettore o al telespettatore di farsi la propria opinione, e coloro secondo i quali, invece, giornali e giornalisti hanno un compito per così dire pedagogico, dovendo contribuire a guidare l’opinione pubblica. Non è facile scegliere l’una o l’altra opzione, tant’è che la disputa è tuttora aperta e con esiti contrastanti, anche perché, probabilmente, c’è del giusto in entrambe. Secondo Indro Montanelli, compito precipuo del giornalista è quello di “capire” e “far capire” (e “far capire” è ancor più importante che “capire”, diceva con uno dei suoi paradossi). E, in quel “far capire” ci sembra d’intuire che, pur riconoscendo nel lettore il suo unico “padrone”, Montanelli si proponesse, comunque, di fornirgli un orientamento. E’ noto, del resto, che, a seconda di come la si propone, un stessa frase può avere significati diversi, se non addirittura opposti. Ma torniamo al quesito che ci siamo posti all’inizio. E’ corretto il modo in cui i mezzi di comunicazione, in particolar modo italiani, che conosciamo più da vicino hanno assolto il loro compito in questo tragico frangente ? Dobbiamo fare una premessa. Non vogliamo prendere in considerazione quella parte della stampa che ha fatto prevalere, con totale mancanza di senso di responsabilità, il proprio spirito di fazione, cercando di sfruttare vergognosamente a fini di parte, i tragici avvenienti che abbiamo vissuto. Questo tipo di giornalismo scredita se stesso prima ancora della categoria alla quale dichiara di appartenere. Quello che, piuttosto, ci interessa è cercare di comprendere se e in qual modo i mass media hanno saputo fornire un utile contributo al superamento delle condizioni di difficoltà determinate, nel nostro come in altri paesi, dall’offensiva terroristica. Sul piano strettamente informativo, giornali e televisione si sono comportati in modo decisamente apprezzabile. L’informazione fornita è stata più che completa, nessuna notizia è mancata e i cronisti hanno svolto il loro lavoro con pieno merito. Ma un errore, a nostro avviso, c’è stato perché è prevalso il gusto della spettacolarizzazione e ciò ha finito con l’alimentare la paura, in alcuni casi addirittura il terrore. Così è mancato l’impegno a far sì che la gente si rasserenasse, si rendesse conto, cioè, che il modo migliore per reagire all’offensiva terroristica era ed è quello di non alterare i ritmi della propria vita, poiché è proprio questo che gli strateghi del terrore vogliono: costringerci a non esser più noi stessi. Robert Fink, corrispondente di guerra inglese, considerato uno dei maggiori conoscitori della situazione mediorientale, ha scritto non molto tempo fa, ancor prima della notte dell’orrore parigina, che usare un linguaggio apocalittico non fa altro che aumentare a dismisura la paura e il terrore che è, poi, il fin ultimo degli invasati dell’Isis. La paura, trasformata in terrore, ci impedisce di attivare i meccanismi di difesa e ci porta ad una naturale sottomissione. Da ciò, secondo Fink, la necessità di non dare informazioni apocalittiche, di fare il possibile per non alimentare il panico, di sedare gli animi evitando di fare il gioco dei nostri nemici. E’ un punto di vista, quello di Fink, che ci sembra del tutto condivisibile. Dio ci guardi dall’auspicare censure. Ma basta guardarsi attorno per rendersi conto dei guasti determinati dal panico: lo zainetto di una bambina, lasciato per qualche minuto su un sedile dello stadio, mette in fuga decine di persone; la bottiglia di vino di un clochard viene scambiata per una molotov; un gruppo d turisti inglesi (chissà, poi, perché) viene scambiato per arabi e ricoperto di insulti. Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Ma è così che vogliamo vivere ? E non è forse vero che, se riescono a trasformare la nostra vita, il terrorismo ha già vinto la sua partita? Per evitarlo anche noi giornalisti abbiamo un ruolo da svolgere, al quale nessuno può sottrarsi.