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La cinesizzazione della nuova scuola

Opinionista: 

Valeria Fedeli è ministro dell'Istruzione per grazia di Dio e mancanza di titoli (è priva di laurea e dotata di una sottospecie di diploma). Il suo è, al contempo, ministero insigne e compassionevole. Preconizza scuole aperte anche d'estate. Centinaia di genitori le avrebbero scritto per chiederle aiuto. E l'insigne statista non è rimasta insensibile al grido di dolore che si è levato verso di lei da tante parti dello stivale. I campi estivi, organizzati dai comuni, sembra siano pochi e a numero chiuso. Mentre quelli organizzati dai privati hanno costi non sempre sostenibili da bilanci familiari che progressivamente si assottigliano e, nella media, faticano ad arrivare a fine mese. Nella fase estiva, fino a qualche tempo fa, supplivano i nonni. Il progressivo aumento, però, dell'età pensionabile non consente a questi ultimi di svolgere la loro imprescindibile funzione di supplenza genitoriale. Notevole è, pertanto, l'affermazione di corsi o campi estivi. Ma si tratta di esperienze che implicano, però, costi significativi in rapporto alla precarietà delle entrate dei giovani genitori. La vicenda, non è soltanto paradossale, ma in qualche modo emblematica dell'attuale visione di governo dei fenomeni diffusi. Il criterio generale che ispira l'approccio alla soluzione dei problemi è quello della compassione, giammai della giustizia sociale. La politica della pietà, però, si rivela il contrario della politica sociale: l’azione politica, quando è socialmente orientata, mira ad eliminare gli squilibri mediante la costruzione di un modello di stato che, progressivamente, li espunga dalla società e non li contempli. Un'idea corretta dell'educazione dei minori, ed in particolare della loro istruzione, imporrebbe di sostenere, con incentivi di stato, corsi, oratori, campi estivi, pubblici e privati. Andrebbero previsti, a tale scopo, incentivi per le famiglie anche nella forma delle detrazioni fiscali. Si persegue, invece, l'assimilazione del modello scolastico Cinese Maoista non solo attraverso il taglio dei salari e l'allungamento dei turni di lavoro, ma anche tenendo aperte, come avviene in Cina, le scuole anche d'estate. E' questa la soluzione del problema? Affidare i minori a questo stato 12 mesi all'anno? Deve riconoscersi, invece, che, quella compassionevolmente individuata dalla ministra, non è una buona soluzione. Almeno per tre ordini di ragioni: 1) non rimuove le cause che generano un fenomeno di ingiustizia sociale; 2) non contempla un progetto educativo per i minori; 3) costringerebbe i ragazzi a stare chiusi in edifici scolastici fatiscenti ed insicuri, con temperature di 30 gradi, affidati alla frustrazione estiva di insegnanti assunte con forme di contrattualizzazione precarie soltanto per il periodo estivo. La sortita ministeriale sul tema deve riconoscersi inescusabile: la proposta promana da un membro del governo italiano cui non dovrebbe sfuggire che il nostro stato, soltanto nel secolo scorso, rappresentò un’avanguardia nell’affrontare le questioni afferenti la tutela dell’infanzia in una prospettiva di costruzione delle prime forme di stato sociale del lavoro. In tal senso le colonie estive, quale soluzione di stato all’assistenza dell’infanzia nei periodi estivi, si rivelò un’esperienza positiva fortemente ispirata a criteri di giustizia sociale. Nacquero nell’800 come ospizi marini per ospitare bimbi affetti da malattie turbecolari. Il fascismo potenziò quello che restava delle vecchie colonie ottocentesche, costruendo ex novo sontuosi edifici nelle principali località estive e balneari. L’azione del regime, sotto l’egida dell’opera nazionale maternità ed infanzia, era finalizzata anche a scopi educativi oltre che curativi. Lo sforzo fu imponente: nel 1927 i bambini italiani ospitati nelle colonie erano 54.000, dopo undici anni il numero arrivò a 772.000 in 4375 colonie disseminate in località marine e montane di tutto lo stivale. Sarebbe ragionevole se lo Stato, oggi, perseguisse innanzitutto una politica di aumenti salariali tale da porre in condizione le famiglie di sostenere i costi dei centri estivi ( pubblici, laici e religiosi) anche mediante forme di detrazione fiscale. Mettere a deposito i fanciulli, a parcheggiandoli nei plessi scolastici anche d'estate, rappresenta forse la soluzione di un problema privato, individuale di un certo numero di coppie e famiglie in difficoltà. Non rappresenta affatto, però, una soluzione ispirata a modelli sociali che contemplino l’insieme degli interessi in discussione, a partire da quelli dei minori. Una visione organica di governo della cosa pubblica postula soluzioni diverse, ispirate a criteri giustizia sociale, idonee ad affrontare frontalmente le questioni, senza mai prescindere da un’analisi complessiva dei fenomeni in discussione. Le soluzioni compassionevoli non reintegrano coloro che ne sono i destinatari in un modello sociale condiviso. E il piano di apertura delle scuole anche d'estate, è una manifestazione esemplare della politica ispirata alla pietà, giammai alla giustizia. La paventata apertura estiva delle scuole va decifrata come una tappa verso il perfezionamento del disegno di cinesizzazione sociale della nazione italiana: dai salari al sistema di istruzione statale. La politica compassionevole non è la soluzione del problema. È il problema.