La classe dirigente che l’Italia si merita
Ottantacinque giorni per fare un governo politico. Poi Mattarella ha preso atto che Salvini e Di Maio – da veri statisti – questo governo non lo volevano fare. Ma andiamo con ordine e spieghiamo la crisi di governo a chi era assente. Salvini e Di Maio sono i due vincitori mediatici delle elezioni del 4 marzo. Mediatici perché seppure contendendosi lo stesso elettorato – populista, euroscettico, antisistema – nessuno dei due vince sul serio, e perché non provengono da un'alleanza elettorale. Il vero scopo di Di Maio era fare il premier. Il vero scopo di Salvini fare un'Opa totalitaria sul centrodestra. Se partiamo da questi due scopi, tutti personali e in cui il bene del paese non c'entra evidentemente nulla, allora possiamo comprendere “come sono andate davvero le cose” in questi tre mesi. Dai commenti del giorno dopo alle consultazioni, alla trattativa per il “contratto di governo”, l'unico scopo evidente era quello di accreditarsi e rivendicare una leadership ed una vittoria. Rivendicare temi come se si fosse ancora in campagna elettorale, gestire i diktat a livello mediatico. Lo abbiamo visto con Salvini, la cui priorità era l'alleanza elettorale; lo abbiamo visto con Di Maio, pronto a fare il governo con chiunque (da Pd alla Lega senza distinzioni di sorta) purché fosse lui a primeggiare. Salvini non voleva formare questo governo. Avversari e alleati (Forza Italia) sono debolissimi, e sa che andando ad elezioni farebbe il pieno (non escludo rosicchiando anche qualcosa agli stessi 5stelle). Politicamente si è dimostrato bravissimo, il migliore nell’usare i mezzi di comunicazione. Di Maio probabilmente ha perso l'occasione della vita. Forse era quello che più di tutti voleva davvero fare un governo. Ma al prossimo giro per come si sono messe le cose davvero potrebbe toccare a Di Battista, l’unico in questo scenario che può competere coi toni di Salvini. Salvini e Di Maio accusano il Presidente della Repubblica di aver impedito la formazione del governo del cambiamento. Sarebbe bastato fare un altro nome, altre volte in passato è accaduto che presidenti non accettassero un nome, e non per questo si è mai arrivati a parlare di messa in stato d’accusa del Presidente. Il punto chiaramente non è il professor Savona. Mattarella avrebbe potuto accettare quel nome, ma la questione è l’aut aut che Salvini e Di Maio hanno posto, “o questo o niente”, portando così la questione su un altro livello, quello dello scontro istituzionale. Un ricatto in altre parole: o accetti o sarai indicato come il responsabile della mancata formazione del governo. A che scopo? Semplicemente perché senza una maggioranza chiaramente monocolore – che probabilmente così resterà anche in caso di elezioni dal momento che con ogni probabilità non ci sarà modo di cambiare legge elettorale – fa comodo continuare a ripetere gli slogan di sempre. Nei prossimi mesi ci racconteranno di come tutti siano contro di loro, che sono gli unici possibili salvatori del Paese, che l’Europa vuole decidere al posto degli italiani. Che loro sono i soli ad essersi opposti ai ricatti della troika, dei poteri forti, delle banche, alle decisioni della Merkel, e ad ogni tipo di retroscenismo. Il tutto sulle spalle del Paese. Un paese che merita di più e di meglio, ma che deve prendere atto che il debito pubblico è suo, non è un'usura dell'Europa. Che il costo della vita alto è tutto nostro, e non è colpa dell'euro. Che il nostro sistema ingessato, chiuso in circoletti che impediscono nuove occupazioni e la crescita dei giovani non ha nulla a che vedere con Bruxelles. Che l'immigrazione non la gestisci coi blocchi navali. Ma tutti questi sono temi tropo complessi per chi ha scelto la via facile di dare – da sempre – la colpa ad un “nemico lontano”. Per chi non ha memoria io ricordo una Lega per cui la colpa dei mali del Nord erano i meridionali, poi gli albanesi, poi i cinesi... adesso di Bruxelles. L'Italia – con molta chiarezza – ha bisogno di più Europa, per scongelarsi dal proprio immobilismo e dalle proprie instabilità, ma soprattutto di una classe dirigente più seria e meno alla ricerca del voto facile lucrando sulle paure e alimentando i fantasmi di complottismi improbabili. Ma forse una classe dirigente più seria – che semmai conosca anche il congiuntivo – non ci rappresenterebbe sul serio.