La Costituzione e la Magistratura
I magistrati italiani si considerano i custodi della Costituzione e si oppongono a ogni tentativo di revisione perché la giudicano perfetta.Tant’è che, ogni anno, vanno alle inaugurazioni degli anni giudiziari con una copia sotto il braccio. Ammesso che lo siano non si capisce perché si oppongono alla modifica dell’articolo 101: “I giudici sono soggetti soltanto alle leggi” perché esclude i pubblici ministeri che fanno parte della Magistratura”. E dell’articolo 98: “Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto dei magistrati di iscriversi ai partiti politici”. Uno dei padri costituenti, il professor Costantino Mortati, mio illustre concittadino e amico, era d’accordo sulla necessità che l’art.101 venisse così riscritto: “I magistrati sono soggetti soltanto alle leggi” e che l’art. 98 escludesse i magistrati e si riferisse soltanto ai militari, alle forze di polizia, agli ambasciatori e ai consoli. Perché in nessun paese democratico al mondo, tranne quelli retti da regimi comunisti, i magistrati possono militare in partiti politici. E solo un cedimento mentale dei costituenti può spiegare la previsione di una legge per “limitare questo diritto dei magistrati”. Tra l’altro, “un diritto” in palese contrasto con l’art.101. Le leggi le fa il Parlamento (articolo.70) e, dopo la firma del presidente della Repubblica che ne accerta la rispondenza alle norme costituzionali, vengono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale ed entrano in vigore (articolo 73). Ed è fatto obbligo a chiunque spetti di rispettarle e di farle rispettare come leggi dello Stato. Principalmente proprio ai magistrati. Si resta perciò stupefatti di fronte alla decisione dei Tribunali di Firenze e di Bologna di non applicare il decreto sicurezza che obbliga gli immigrati clandestini a lasciare il Paese perché non possono essere iscritti all’anagrafe comunale come cittadini italiani e di accogliere il ricorso presentato da alcuni ospiti dei centri di accoglienza che si erano visti rifiutare dai comuni la domanda di iscrizione. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini non ha nascosto la sua irritazione: “Se i magistrati vogliono fare politica si dimettano dall’ordine giudiziario e si presentino alle elezioni”. Che piaccia o no (e ai magistrati non piace) il decreto sicurezza è una legge dello Stato, approvata da un Parlamento sovrano e controfirmata dal Presidente della Repubblica che ne ha così garantito la costituzionalità. Disattendere le sue norme è un’evidente sfida del potere giudiziario al potere politico. Una sfida inammissibile proprio secondo la Costituzione. È il caso di ricordare che, appena nominato ministro della Giustizia nel governo D’Alema, il professor Oliviero Diliberto, che si dichiara bolscevico più che comunista, inviò il 31 ottobre 1998 una lettera a tutti gli 8mila e passa magistrati italiani, che iniziava con un “gentile dottore”, con l’invito perentorio a rispettare il lavoro del Parlamento. Scriveva, tra l’altro, il ministro: “Il principio della indipendenza della Magistratura sarà più efficace, limpido e condiviso se questo ordinamento rifiuterà la tentazione di ingigantire il suo ruolo e la sua funzione intervenendo nel dibattito politico con l’intento di modificare le leggi che il Parlamento intende emanare anche in materia di giustizia: il Parlamento fa le leggi e la Magistratura deve rispettarle e farle rispettare”. E fu obbedito. Tant’è vero che durante la presenza a Palazzo Chigi e a via Arenula di uomini della Sinistra, nessun Tribunale si è permesso di disattendere le leggi, l’Anm non ha mai scioperato e il Csm si è limitato ad assolvere i compiti previsti dalla Costituzione. Non c’è bisogno di un altro comunista a via Arenula per ricordare ai magistrati che devono applicare le leggi. Basta che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede eserciti il potere dell’azione disciplinare, datogli dall’articolo 107 della Costituzione. Ma, essendo un pentastellato, dubito che lo farà.