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La crisi che rischiamo e l’Italia disarmata

Opinionista: 

Drin, driin, driiin. Il crollo dei mercati degli ultimi giorni è il brusco risveglio degli addormentati. A prescindere dagli sviluppi immediati, infatti, le ingenti perdite borsistiche annunciano il tramonto che verrà: quello del mondo accomodante e tranquillo degli ultimi anni; l’universo dei tassi zero, dell’assenza di volatilità, del rialzo irrealistico e artificioso dei valori azionari e del metadone distribuito a piene mani dalle banche centrali sotto forma di liquidità. Tutti fattori che hanno consentito all’Italia di fingere d’ignorare problemi enormi, con un’economia che resta asfittica e dipendente in gran parte dalla congiuntura internazionale. Avremmo dovuto sfruttare questi anni di bonaccia per fare ciò che andava fatto: ridurre debito, spesa pubblica, tasse, burocrazia, cambiare la giustizia e rimettere in piedi il Sud. È stato fatto il contrario. A colpi di bonus abbiamo sperperato oltre 50 miliardi di euro in 4 anni, gran parte dei quali in deficit. In questo quadro, qualsiasi aumento della volatilità sui mercati e qualsiasi accenno di recessione o solo rallentamento dell’economia globale rischia di essere esiziale per la fragile ripresa italiana. E proprio la volatilità è tornata la grande protagonista di questi giorni. Mentre i nostri politici giocano al piccolo premier, in Europa e nel mondo si muovono logiche pericolosissime. Che ci riguardano da vicino molto più di quanto si pensi. Parlando all’Europarlamento, Draghi ha additato la riforma fiscale di Trump e i bitcoin come i maggiori fattori di rischio. Già, ma rischio di cosa? Le parole del presidente della Bce, sia pure foderate di quell’ottimismo che serve a impedire reazioni incontrollate, hanno il sapore della ricerca di capri espiatori in vista d’una possibile retromarcia globale. Dietro il bagno di sangue delle Borse di questi giorni, infatti, non ci sono i timori per l’inflazione, gli aumenti dei salari Usa e le altre oscenità raccontateci per provare a nascondere la verità, ma la finanziarizzazione estrema delle attività economiche, divenuta insostenibile e che rischia di trasformarsi in un nuovo tsunami per l’economia reale e produttiva. Il timore di un rialzo dei tassi d’interesse è certamente fondato, ma se sta già bruciando migliaia di miliardi prima ancora di realizzarsi è perché l’indebitamento folle e l’azzardo morale monetaristico hanno raggiunto livelli inimmaginabili. La bolla finanziaria costruita in questi anni è destinata ad esplodere, con una divaricazione tra economia reale e finanziaria mai vista prima. Se il riallineamento non sarà graduale, ma improvviso e violento, s’innescherà una nuova crisi sistemica, forse peggiore di quella del 2007. Alcuni numeri possono aiutare a capire quanto sia pericoloso ciò che sta accadendo. Nel 2007 il valore globale delle azioni quotate sui mercati finanziari raggiunse i 60mila miliardi di dollari, contro i 58mila miliardi del Pil. Fu un sorpasso storico che innescò il disastro successivo: appena un anno dopo le Borse valevano meno della metà del prodotto lordo globale e la crisi finanziaria contagiò l’economia reale. Un disastro. Nel 2017 è accaduta la stessa cosa: le Borse hanno superato il Pil (80mila miliardi di dollari contro 78mila circa). Se la speculazione prevale sulla creazione di ricchezza reale vuol dire che il sistema è gravemente malato. Significa che corsi azionari così elevati non trovano riscontro nella realtà. Ciò è stato reso possibile dalle banche centrali, che hanno immesso masse di liquidità enormi sul mercato per sostenere quei valori artificiali, incentivando l’indebitamento pubblico e privato. Capite ora perché la prospettiva di un aumento dei tassi è così terrorizzante? È iniziata la grande correzione globale. La speranza è che non diventi una valanga.