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La fredda vendetta del mite Bersani

Opinionista: 

La politica ha misteri che soltanto il tempo, ma chissà quando, potrà sciogliere. Uno dei misteri tuttora irrisolti è questo: chi fu a sabotare, nelle elezioni presidenziali dell’aprile 2013, trincerandosi dietro i “franchi tiratori”, le candidature di Franco Marini prima e di Romano Prodi poi, infliggendo un duro colpo alla carriera politica di Pier Luigi Bersani? A seguito di quella clamorosa débâcle, l’allora segretario del Pd fu costretto non solo a lasciare la carica di partito, ma a rinunciare ad ogni aspirazione di assumere la guida del governo. Chi fu l’ideatore e l’organizzatore di quel sabotaggio che certamente ha mutato il corso della politica italiana? Molte ipotesi sono state fatte a questo riguardo e una delle più accreditate vuole che si stato proprio Matteo Renzi a pilotarlo. Non abbiamo elementi che suffraghino una tale ipotesi anche se spesso, ma non sempre, la formula dell’”a chi giova?” è risolutiva nell’accertamento della verità. Tuttavia, un vecchio proverbio toscano (che un fiorentino doc come Renzi dovrebbe conoscere) avverte che, quando una voce si fa insistente, “o ce n’è o ce n’è stato o ce n’è di rimpiattato”. Insomma, a farla breve, il sospetto (fondato o non fondato) che sia stato il furbo Matteo il regista di quelle “maledette” giornate d’aprile, c’è. Ed è un sospetto che Bersani deve probabilmente nutrire se è vero (ed è vero) che a Bersani Renzi non è mai stato simpatico. Così, pur non associandosi a quanti, sconsideratamente, nel suo partito evocano la minaccia di una scissione (“la ditta non si tocca” a tenuto a ribadire più volte) è divenuto di fatto il leader degli oppositori di Renzi all’interno del Pd, colui che più di ogni altro preoccupa il segretariopresidente: più dei vari Cuperlo, Civati, Fassina che non lo impensieriscono più di tanto e dello stesso D’Alema il cui seguito è andato, negli ultimi mesi, sempre più assottigliandosi. D’Alema è indiscutibilmente un politico di vasta esperienza, dotato di un’acuta capacità di analisi e non si può dire che molte delle sue critiche a Renzi non siano azzeccate e non colpiscano nel segno. Ma, fatte da lui, con il suo astio, con il suo livore, con la sua supponenza, perdono d’incisività e di credibilità. Quanto a carattere e a modo di proporsi, Pier Luigi Bersani è l’antitesi di D’Alema. Per quanto questi è aggressivo, arrogante, presuntuoso, per tanto Bersani è mite, garbato, modesto. Eppure i due si trovano sulle stesse posizioni, impegnati in un’aspra contesa con Matteo Renzi nei confronti del quale condividono gli stessi, severissimi giudizi. Com’è possibile? Non a caso abbiamo ricordato quel che accadde nell’aprile del 2013. Ammonisce un antico proverbio che “la vendetta è un piatto che va servito freddo”. Bersani, dunque, potrebbe ritenere che il tempo di saldare il conto con Renzi sia arrivato anche perché, probabilmente, il terreno dello scontro gli è favorevole. Campo di battaglia è l’Italicum, la nuova legge elettorale che il premier-segretario vuol far approvare in tempi rapidi, che la minoranza del Pd duramente contesta e che, dopo la rottura del patto del Nazareno, è a forte rischio in Parlamento. Con il piglio decisionista che gli è consueto, Renzi ha detto chiaramente che non ha assolutamente intenzione di apportare la benché minima modifica alla “sua” riforma e ha minacciato: “O l’Italicum si approva così com’è o si va alle elezioni”. Ma Bersani, che è un “capitano di lungo corso”, abituato a navigare nelle acque della politica, anche le più insidiose, sa che quella di Renzi potrebbe essere una minaccia fatta con la pistola scarica. Il fatto è che la ragione di fondo per cui la minoranza del Pd contesta l’Italicum è che, con questa legge elettorale, il segretario riuscirebbe a portare in Parlamento tutti i suoi fedelissimi, a danno degli esponenti dell’opposizione. E, allora, all’opposizione potrebbe anche convenire accettare la sfida e andare alle urne con un sistema di voto che la penalizzerebbe di meno. Insomma, la partita è aperta, ed è opinione comune che questa sulla legge elettorale che il Parlamento si appresta ad affrontare, sarà davvero “la madre di tutte le battaglie”. E Renzi sa bene che il suo principale avversario sarà proprio Bersani. Perciò farà bene a ricordare quel che disse Giulio Andreotti, in una concitata fase della vita politica, quando era presidente del Consiglio: “Dio ci guardi dall’ira dei calmi”.