La mortale escalation delle guerre del gioco
Non so quanti dei miei coetanei o più giovani hanno letto, nel proprio processo di formazione educativo e culturale, libri come “I ragazzi della via Pal”, “La guerra dei bottoni” o “Il signore delle mosche”, determinanti al graduale passaggio dallo stato infantile adolescenziale a quella maturità consapevole che, spero per molti, ha inculcato in ognuno quanto fosse tragicamente idiota ricorrere ad una guerra per affermare errati diritti di sterile supremazia su uomini e territori. Gli eventi contemporanei, ultimo ma non definitivo, l'orrore di Manchester, hanno riportato indietro la memoria al tempo di quelle letture, godibili e fantasiose le prime due, ma già sconvolgente e raccapricciante l'ultima, per la descrizione pessimistica e la valutazione assolutamente deleteria del rapporto fra totalitarismo e una sconfitta democrazia della libertà di diritto e di opinione. Mentre Molnar e Pergaud avevano contribuito a permeare di un alone di romanticismo i giochi di bande e di gruppi, tipici dei miei primi 13 anni, in cui emuli degli studi epici scimmiottavamo gesta di paladini e saraceni, o le avventure dei cavalieri di re Artù, il romanzo di William Golding, premio Nobel, fu per me una folgorazione, un traumatico colpo alle mie convinzioni cavalleresche, che nel corso degli anni esitò in illusioni perdute ed una definitiva repulsione per ogni tipo di violenza. Troppe volte in questi ultimi anni, quasi con un ritmo quotidiano, abbiamo dovuto commentare stragi, tragedie sanguinose, ordalie etniche e religiose, che hanno estremizzato in una sorta di falsa nebbia ideologica le violenze, gli infanticidi e il futuro negato a milioni di bambini e adolescenti, già accaduti con una regolarità offensiva per il nostro ideale di civiltà, ma Manchester segna una mortale escalation, traccia una linea di non ritorno sulla miscellanea di odio, assassinii e giovani vite interrotte. Adolescenti che uccidono coetanei inermi ed innocenti, rei soltanto di aver voluto partecipare alla gioia di un evento musicale, carnefici e vittime uniti nell'inutile rito propiziatorio, osannato da un estremismo religioso ignorante, trasformista e senza onore. Ne abbiamo visti di orrori nella nostra esistenza, ne abbiamo studiato e recepito gli effetti nefandi; non sono di oggi i crimini di guerra, i genocidi, le migliaia di bambini storpiati e seviziati dalle "nuove guerre dei bottoni" quelle tecnologiche dei comandi a distanza, delle mine antiuomo, dei bagliori arancione degli ordigni nucleari, fin dalla iattura storica delle Crociate, e allora perchè oggi ci sentiamo diversi, profondamente svuotati e in disordine, siamo tentati dalla rassegnazione di non reagire, di chiuderci nel guscio del nostro doloroso silenzio? Perchè giovanissime menti, drogate dal germe dell'intolleranza, spappolate dall'acido della solitudine interiore e della sfiducia nel prossimo, chiunque egli sia, decidono di farla finita, sperando in una catarsi mistica della propria inaccettabile vita, o peggio di una nascita non richiesta, esaltando il proprio rancore ed odio in una barbarie ideologica. Sembra di assistere allo stadio finale e finalizzante della profetica concezione sociologica di Golding! Addio alle sonori legnate e vocianti sassaiole per la supremazia nella via Pal, con tanto di onore delle armi agli sconfitti, niente più ritorni punitivi a casa, privati dei bottoni di camiciole e casacche, in segno di sconfitta, la "bestia" che viene dal mare e poi dal cielo sull'isola tropicale narrata da Golding, è ormai dentro di noi già dalla nascita. I bambini, gli adolescenti giocano ad ammazzare sul serio, come nelle scuole americane, come nelle favelas dei poveri, come tra i vicoli di Napoli, a 15 anni, per punire uno "sgarro". Michele Serra, dondolandosi nella sua L'Amaca di Repubblica, ci ha propinato un'altra "pillola" della sua laica saggezza, augurandosi, da ateo, che per costoro esista l'inferno in un ipotetico aldilà. Io, da credente e peccatore consiglierei di lasciar stare Dio - in lettera maiuscola - che non c'entra affatto, perchè come ha scritto Golding: "l'uomo produce il male come le api producono il miele" e in fondo, noi siamo figli di Caino.