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La Rai, de Magistris e la buffonata libica

Opinionista: 

Cari amici lettori, come sapete, io da qualche anno non guardo più la tv, quindi non so chi sia questa Paola Perego; ricordo che ai miei tempi c’erano una Maria Perego, creatrice di Topo Gigio, e una Didi Perego, buona attrice non protagonista (genere ormai scomparso). Non ho mai visto, ovviamente, “Parliamone sabato” e non ho potuto indignarmi per la trasmissione “sessista” sulle donne orientali che ha tanto scandalizzato i benpensanti del politicamente corretto, in primis l’immancabile Boldrina, e ha indotto i dirigenti renziani della Rai all’immedata chiusura della trasmissione. Non posso, tuttavia, indignarmi o scandalizzarmi neanche ex post, poiché non riesco a immaginare come una trasmissione della Rai possa essere peggiore delle altre: suppongo, in verità, che questa Perego, se è stata cacciata o comunque messa in castigo, non debba essere una fedelissima dell’ex petrusiniéllo. Quello che, invece, mi fa incazzare è il consiglio comunale di Napoli che, a maggioranza, si è rifiutato di manifestare solidarietà ai poliziotti e ai carabinieri feriti dai teppisti antisalvini e, ancor peggo, di far costituire l’ente locale parte civile contro i summenzionati teppisti. Mi sono chiesto se agiscano così perché ci sono o perché obbediscono a Giggino: ho concluso che entrambe le ipotesi sono fondate. Ciascuno di loro, probabilmente, è animato da ancestrale animosità verso le forze dell’ordine; ma, d’altra parte, il sindaco deve pur proteggere le sue guardie armate. Quest’ultima ipotesi mi convince assai, poiché ricordo il recente divieto di un suo assessore alla discussione in consiglio della nostra richiesta di cancellare dalla toponomastica i nomi dei massacratori del Sud. L’idea non dovrebbe ripugnare al DeMa, che sembra voler cancellare la cittadinanza onoraria concessa illo tempore al boia Cialdini. Entrambi gli episodi, peraltro, riconducono a un suo tratto psicologico: una cosa è buona se sua è l’iniziativa, ma la stessa cosa è cattiva se proposta da chi non è d’accordo con la sua leadership. In lingua nostra, potremmo dire che è “nu poco protanguànguero”. Passiamo a un argomento un po’ più serio: la Libia. Le notizie sono due, anzi tre. Lunedì a Roma si è tenuta la prima riunione del “Gruppo di contatto sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale”: presiedeva Minniti, presenziava Gentiloni, partecipavano Algeria, Austria, Francia, Germania, Libia, Malta, Slovenia, Svizzera, Tunisia e Unione europea. A capo della delegazione libica Fayez al Serraj, presidente libico riconosciuto e sostenuto da Onu, Nato, Ue e Italia ma non dai libici. Serraj controlla soltanto la base navale di Abu Sitta, presidiata anche da forze internazionali, ma attaccata, proprio domenica scorsa, da truppe del rivale tripolino Khalifa Ghwell. Noi, come Europa e come Italia, gli daremo ottocento milioni, ma io non riesco proprio a comprendere a cosa serva finanziare un fantoccio. La seconda notizia è che l’ambasciatore italiano in Libia ha ammonito il generale Khalifa Haftar, uomo forte del governo di Tobruk, a deporre le armi. Haftar, al contrario di Serraj controlla circa metà del territorio libico (tutta la parte orientale), forte del sostegno egiziano e russo: proprio in questi giorni ha riconquistato i terminali petroliferi di Ras Lanuf e Sidra, che erano stati occupati da milizie islamiche. Haftar ha rifiutato di incontrarsi con al Serraj, ha ammonito l’Italia a non immischiarsi negli affari libici, ha precisato che gli accordi con Serraj non lo impegnano e ha persino rifiutato nostri aiuti economici. La terza notizia: le milizie di Zintan che, sostenute dalla Turchia, controllano una zona occidentale della Tripolitania, hanno liberato Saif al-Islam, il figlio superstite di Gheddafi, da quattro anni loro prigioniero. Queste milizie riconoscono il governo di Tobruk e, quindi, sono molto più propense ad accordarsi con Haftar che ad appoggiare Serraj. Conclusione? Gli accordi di Roma si riveleranno una dispendiosa buffonata, come tanti altri accordi stipulati dai nostri governanti. Forniremo motovedette al governo di Abu Sitta: ma quelle di cui già dispone la Libia, lungi dal riportare a terra i migranti, recuperano i motori dei gommoni affondati per restituirli ai mercanti di carne umana. I mezzi da noi forniti, allora, finiranno probabilmente a qualche gruppo di terroristi; come le armi che Obama mandava ai ribelli “buoni” in Siria.