La razza non esiste, lo dice la scienza
Un antidoto ai casi di cattiva informazione giornalistica, specialmente quella derivante da un uso eccessivo di ideologia e di schematismo politico (nel senso dell’appartenenza più o meno dissimulata) e talvolta anche da una disarmante crescita dei livelli di ignoranza – dalle aule universitarie e liceali alle redazioni dei giornali - potrebbe essere una maggiore divulgazione della cosiddetta informazione scientifica. Grazie ad essa si può affermare che non sono stati pochi i casi nella lunga storia della stampa in cui idee e convinzioni dure a morire sono state smentite e combattute da giornali e riviste: la stregoneria, il ritorno del creazionismo, le strabilianti scoperte mediche e terapeutiche rivelatesi poi inefficaci se non dannose (dietro le quali si scorge spesso l’interesse dell’industria farmaceutica), il mistero dei cerchi di grano, la chiaroveggenza, le statue che piangono e così via. Fortunatamente ci sono ancora testate e riviste che informano correttamente il grande pubblico, contribuendo a denunciare e a sconfiggere credenze e luoghi comuni tramandatisi e diffusisi in tutto il mondo, grazie soprattutto alla velocità e pervasività dei canali mediatici. Ho fatto questo preambolo per manifestare tutto il mio plauso per il numero speciale di aprile della famosa rivista nordamericana “National Geographic” che ha dedicato ampio spazio – tanto da dare al fascicolo nella sua versione italiana il titolo “Questione di pelle” – a demolire, grazie ad interventi ed articoli di divulgazione basati su fonti scientifiche doverosamente citate, l’idea di razza. La scienza, più che la politica e l’ideologia – specialmente quelle scopertamente razziste – ha dimostrato che la razza è un concetto privo di basi genetiche o scientifiche ed è diventata il “cavallo di Troia” che ha invaso ed infettato momenti tragici della storia mondiale e che ancora oggi viene adoperata a fini elettoralistici per ottenere il consenso di coloro - le recenti vicende italiane ed europee stanno a dimostrarlo - che pensano che la soluzione sia la riedizione di vergognose forme di divisione e di vero e proprio apartheid. Come ha giustamente osservato Marco Cattaneo, direttore di “National Geographic”, sono trascorsi 80 anni da quell’indegno manifesto sulla razza sottoscritto da tanti scienziati italiani proni al volere del regime fascista ed apparso su una rivista dal titolo “La difesa della razza”, ma una “certa idea di razza è dura a morire”. Si guardi al preoccupante crescere in Europa come in Italia di un pregiudizio xenofobo basato sulla presunta diversità di pelle, di provenienza, di cultura, di lingua. Chissà come reagirebbero i difensori della razza bianca dinanzi alle inoppugnabili conclusioni di lunghi anni di ricerca che hanno stabilito che “tutti i non-africani di oggi discendono dalle poche migliaia di esseri umani che lasciarono l’Africa circa 60.000 anni fa” (cito dall’articolo di Elizabeth Kolbert) e che le modificazioni del colore della pelle sono tutte dovute a mutazioni genetiche. E non si tratta solo di teorie, ma di conclusioni derivanti da decine di migliaia di test del Dna. Sempre la rivista dalla quale abbiamo preso le mosse riporta una tabella (indicando le fonti documentarie) che mostra in modo lampante come siano la provenienza e l’etnia e non la razza a determinare il livello di disparità economica, sanitaria, scolastica, previdenziale, salariale, di genere. Tra i quattro gruppi demografici principali che vivono negli Usa (asiatici, bianchi, ispanici e neri) persistono - e si accentuano sempre più a causa degli effetti devastanti del neoliberismo mercatista e finanziario – le intolleranze e le discriminazioni non tra le razze, ma tra le etnie, le quali si formano non esclusivamente sulla base del colore della pelle, ma sul presupposto di una aggregazione sociale che ha alle spalle una lingua e una cultura, una religione, una caratteristica economica, tutti fattori che ne fanno una precisa e comune identità.