La sfida dei media, inseguendo la Storia
La Storia, improvvisamente, ha preso a correre e mai, probabilmente, la tv si è ritrovata, nel nuovo secolo, a dover fronteggiare un tale tsunami di notizie, paure, incertezze. Tutto è iniziato con l’incredibile tragedia dei treni tra Andria e Corato, 27 morti, 50 feriti, un diffuso senso di incredulità di fronte a quel binario unico che costeggiava, isolato, gli ulivi. La ripartenza di un dibattito ormai tradizionale sulla questione meridionale, su di un Sud dimenticato, sui finanziamenti europei che partono ma non arrivano, sui 400mila euro che sarebbero valsi ad evitare il dramma. Puntualmente, in Puglia sono arrivati inviati da mezza Europa alla ricerca di un colpevole, come accade in queste occasioni. Subito, si è cercato di sbattere un mostro in prima pagina: i capistazione, magari il macchinista sopravvissuto, i responsabili della Ferrotramviaria, meglio conosciuta come Ferrovie del Nord Barese, l’ antica azienda acquistata nel 1937 dal Conte Ugo Pasquini dalla “Societé de Chemins de Fer Economiques “ di Bruxelles “per accelerare la realizzazione dei progetti di ammodernamento“, così come recita il profilo aziendale. Uno scenario frastagliato vissuto tra ospedali, ulivi, palazzi istituzionali e la drammatica aritmetica dei morti. Poche ore, ed è piombato nel cuore buio dell’Europa, il tir bianco di Mohamed Boulel, l’attentatore di Nizza, col carico improvviso di una tragedia inattesa: 84 morti, più di duecento feriti, la terribile incertezza su decine di dispersi. Quei luoghi simbolo, la Promenade des Anglais, il mitico Negresco, le spiaggie della Costa Azzurra diventate, improvvisamente, il teatro di un dramma dei nostri giorni, tra le pieghe del terrorismo, in una spirale di incertezze che cala sulle nostre vacanze. Anche qui, inviati speciali, scene rubate ai telefonini ripetute per migliaia di volte, lo shock collettivo che si trasforma in un grande talk-show, articolati dibattiti in studio per provare a capire, a comprendere l’imperscrutabile. Un lungo sabba mediatico internazionale legato, tra l’altro, alle diverse nazionalità dei morti. Ed improvvisamente, mentre le due tragedie si affastellavano sui teleschermi, ecco la notte di Istanbul, il tentato golpe in Turchia, il concitato appello di Erdogan trasmesso attraverso uno smartphone (un dato che meriterebbe da solo un nuovo capitolo tra social e istituzioni), la condanna espressa dai grandi leader mondiali della Nato, la morbida occupazione della Tv di Stato. Anche qui, un’ecatombe di morti (almeno 285 ), di feriti ( quasi 1500), di arresti (oltre 2mila 800 solo tra i militari ), di giubilazioni (almeno 3mila giudici ). Materia ricchissima per altri inviati, per altri speciali, per altre trasmissioni. Ecco come, in poche ore, la nostra Tv, pubblica e privata, si sia ritrovata a muoversi in un confuso inseguimento, divisa tra tragedie diverse, nazionali ed internazionali, improvvisamente costretta a correre dietro le sequenze della Storia che sfornava, quotidianamente, drammatiche, angosciose novità. Mai era successo prima, difficilmente capiterà in futuro. Mentre il villaggio dell’informazione diviene sempre più globale ed il ruolo del giornalista si trasforma e si evolve progressivamente su coordinate e latitudini diverse. Conservando quella che Malaparte definiva “una naturale inclinazione degli italiani”, quella della retorica, dell’eloquenza e, magari, della letteratura.