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L’addio a Necco tra tanti applausi

Opinionista: 

Appassionato di archeologia sino a realizzare 360 documentari nell’area mediterranea, dalla Grecia alla Giordania, dall’Egitto alla Turchia, per la fantastica serie televisiva “L’occhio del faraone”, Luigi Necco, chiesa gremita ieri ai funerali e tanti
applausi ieri all’uscita della bara, è però rimasto famoso per la sua celebre manina dal San Paolo durante i collegamenti di “Novantesimo minuto”, la trasmissione televisiva della domenica pomeriggio sulle partite di serie A con una squadra di indimenticabili telecronisti. «Eravamo una banda eterogenea tenuta in pugno da Paolo Valenti che era un dittatore», raccontava Necco. In questi ultimi tempi ci vedevamo spesso. Mi raccontò ancora: «I direttori Rai Pietro Vecchione e Giovanni Spinosa mi sostennero per “L’occhio del faraone”, poi venne uno che proclamò il suo illuminato principio culturale. “L’archeologia non è storia” disse. Mi tolse lo spazio e lo affidò con sussiego a un figlio importante. Il presidente della Repubblica Ciampi, di parere lievemente difforme, anche perché avevo ritrovato intatto il tesoro di Troia che si riteneva distrutto, su suggerimento del direttore del Patrimonio artistico del Quirinale, Louis Godart, mi nominò commendatore». Luigi Necco, uomo colto, di grande curiosità, laureato all’Istituto universitario Orientale in “Istituzioni dell’Europa orientale”, cultore e conoscitore della lingua russa, è stato più del popolare telecronista di calcio cui deve la sua vasta notorietà. Tempo fa quando, in gennaio, la neve e una terribile valanga scossero l’Abruzzo, si mise alla guida della sua Alfa 147, di colore scuro e vecchia di otto anni, e andò verso Penne, una trentina di chilometri all’interno del territorio di Pescara. Superato il nevischio e la strada ghiacciata, lo fermarono i carabinieri sconsigliandogli di proseguire. Necco fece dietro-front fermandosi a Bussi sul Tirino, tra Popoli e Pescara. E qui ebbe una delle sue giornate di gloria. Perché Luigi Necco è cittadino onorario di Bussi dal giorno in cui svelò la storia e le straordinarie vicende che nessuno conosceva del tenente Siro Riccioni, abruzzese di Bussi, eroe della seconda guerra mondiale, tra l’altro salvando a Creta 272 italiani dalla fucilazione tedesca. Una storia incredibile sulla quale Necco lavorò nove anni raccontandola nel suo libro “Operazione Teseo” edito da Tullio Pironti nel 2014. A tredici anni vendeva “L’Unità” agli operai comunisti di Napoli. «Il giornale costava 25 lire» mi raccontava. «Scrivevo opuscoli per l’Ente provinciale del turismo, poi collaborai al “Correre di Napoli” invitato da Aldo Bovio. Un giorno mi chiamò Ernesto Fiore, capo delle redazione della Rai di Napoli. Fu il mio inizio in Rai. E fu anche per caso. Fui assunto per sostituire Vittorio Mezzogiorno». Proprio il grande attore. Vittorio un bel giorno scomparve. S’era invaghito di Lauretta Masiero, soubrette e attrice degli anni Cinquanta e Sessanta, capelli biondo platino e belle gambe, e se n’era andato a Roma. A Necco lasciò il posto e il suo registratore, il famoso Nagra di quegli anni, grosso registratore portatile ad alta qualità. «Ma, prima, avevo fatto anche il maestro di scuola, diplomato alla Pimentel Fonseca» diceva Luigi durante i nostri incontri. Ci vedevamo spesso al bar di Viale Michelangelo, non lontano da casa sua. Altre volte al ristorante di Nando Pennino in piazza Vittoria e alla Trattoria Vini e Cucina di Salvatore Liguori in via Piedigrotta. Passeggiando diceva: «Devo fermarmi ogni dieci passi. Mi occorrerebbero polmoni di ricambio o, forse, devo perdere almeno trenta chili». Per strada, tutti lo fermavano e lo salutavano chiedendogli se il Napoli di Sarri avrebbe vinto lo scudetto. Di strade, di piazze, di palazzi e dei quartieri della città conosceva storia e aneddoti. Fermava il suo quintale e più di sapienza, roteava gli occhi dietro le lenti e accennava a una risata che era l’incipit delle sue storie, che poi era come un suo ammiccamento per far capire che la sapeva lunga, e raccontava, raccontava. Dove arrivava una volta il mare, e chi abitava in quella casa, e chi era la donna più bella del rione, e come si sparava una volta. E, poi, le storie della Rai- Tv. Parlavamo di Ciotti e di Ameri e del violino che Ciotti amava suonare e, una volta, a Napoli, lo suonò per una signora di cui si innamorò perdutamente. E parlavamo degli infiniti personaggi della Rai a Napoli, nei tempi andati, Samy Fayad, Baldo Fiorentino, Mimì Rea, Luigi Compagnone ed Ennio Mastrostefano, la più bella voce radiofonica di tutti i tempi. Luigi ha avuto persino una squadra di calcio. Si chiamava Sparta della zona Museo-Santa Teresa. «Io avevo il ginocchio valgo e potevo fare solo il presidente». La squadra giocò un torneo e si piazzò ultima. Fine della storia. Possedeva, Luigi, un passaporto di cittadino italiano residente in Canada e ne andava molto orgoglioso. Diventò famoso in Sudamerica al seguito di Maradona, campionati del mondo 1986 in Messico. Ecco il suo racconto: «Privo della nazionale italiana, spedita a casa dalla Francia, mi ero dedicato all’Argentina di Maradona. All’Azteca, nei quarti di finale contro l’Inghilterra, ero a pochi metri dalle sue temprate terga quando con ispirata 'mossa tecnica', sfiorò di mano protetta (forse) dalla testa la micidiale palla che finì in rete rivelando finalmente al genere umano la Natura Divina del Fenomeno. L’ovazione assordante che si levò dallo Stadio Azteca anticipò di poco quella moltiplicata e stratosferica che si alzò attorno al supersonico dribbling a ben cinque malcapitati giocatori britannici. Il mondo si inchinò. Fui il primo ad avvicinarmi all’incommensurabile, che ormai da tre anni respirava, tra l’altro, l’aria dolce e profumata di Posillipo. Quella Mano non poteva che essere Divina. "Fue la Mano de Dios o fue la Cabeza de Maradona?". Chiesi. "Las dos", fu l’ineffabile, furbissima risposta. I cronisti di lingua neolatina girarono i microfoni verso di me. Fui celebre anch’io, per un momento, in Messico ». E col calcio, Gigi Necco prese anche un paio di revolverate a una gamba da Enzo Casillo detto ‘O Nirone. Successe ad Avellino. Un giorno mi declinò la sua formazione ideale del Napoli di tutti i tempi. Disse: «Il gioco di Vinicio e di Sarri. Clerici e La Palma di Vinicio e gli altri di Sarri con Altafini, Bruscolotti e Sivori titolari. Senza pensare al Fenomeno. Con Diego tutti sarebbero capaci di sognare». Negli ultimi tempi aveva ripreso, su Canale 9, la sua seguitissima trasmissione “L’emigrante” tuonando contro amministratori, sindaci, politici arrabbiandosi di brutto.