Le opere pubbliche: troppo tempo, pochi soldi
Fa molta rabbia leggere articoli, come quello uscito su Italia Oggi, relativamente alla durata superiore ai 15 anni delle opere pubbliche al di sopra dei 100 milioni di euro. Quelle cioè che, in buona sostanza, più di tutte dovrebbero contribuire allo sviluppo del nostro Paese. I gentili lettori possono testimoniare che abbiamo ripetuto proprio questo da tempo ed in maniera anche noiosa. Tutto ciò porta davvero tanta rabbia, sì proprio questo sentimento negativo, e non perché lo stiamo dicendo da tempo noi di Confapi, ma perché una cosa così ovvia, non viene mai discussa da nessun politico e soprattutto da nessun sindacalista. Sentiamo fiumi di parole sulla Sanità, sul Reddito di cittadinanza, sulla tassazione da adottare e chi più ne ha più ne metta, ma Lor signori si sono resi conto, che il reddito va prima prodotto, per poter poi assegnare le risorse a questo o quel settore? Questi signori, si sono altresì resi conto che con l’accettazione della moneta unica e con l’ingresso definitivo nei meccanismi burocratici della Unione Europea, dobbiamo rispettare le regole stringenti che ci bocciano ovviamente ulteriori incrementi del deficit? E ci bocciano, soprattutto, le azioni monetarie salvifiche che una volta ci erano concesse e che tendevano sempre ad una svalutazione della moneta per incrementare il reddito prima con le esportazioni e poi di riflesso internamente per effetto indotto di tale incremento del reddito. Ma di che parliamo?! Siamo ancora alla ormai trita e ritrita lotta di classe, che a parole, solo a parole, condanna la situazione insostenibile per le masse operaie e i lavoratori dipendenti. Mai una sola parola, anche da parte dei sindacati, sul fatto che l’eccesso di burocrazia è bloccante nei confronti degli investimenti infrastrutturali che sono il pane per il nostro sviluppo e soprattutto per la nostra credibilità rispetto agli investitori esteri. Quelli che, per comprendere, gestendo fondi di liquidità, sono alla ricerca di rendimenti probabili e consolidati nel tempo e che contribuiscono, in questa maniera, allo sviluppo del nostro mondo di appartenenza, quello, cioè, dei paesi più industrializzati. Consentire questo sfregio all’economia nazionale è un attentato al nostro progresso e soprattutto vuol significare dare a pochi il benessere e, di contro, avere o generare una pletora di fascia sociale molto debole che non riesce ad arrivare a fine mese se non addirittura in povertà totale. Incapace cioè di produrre reddito. Questo per dire, e sottolineare, che tutte le associazioni datoriali e dei lavoratori dovrebbero essere unite nel combattere questo fenomeno di impoverimento, abbattendo gli strali della propria azione critica, sulla soluzione dell’ormai dannoso processo amministrativo delle grandi opere. Si possono impiegare più di 15 anni per un'opera che va dai cento milioni in su? Si capisce a livello di rappresentanza che oggi non è più una questione di divisione del reddito prodotto, ma che bisogna prima produrre il reddito? Bene, nessun politico dico nessuno, si è mai permesso di dire che dobbiamo velocizzare il criterio per la realizzazione degli investimenti pubblici, strategici e non. Nessuno. Tutti a fare polemiche da prima repubblica, poiché trattasi di scelte che sono quasi sempre in contrasto, con i dettami della Commissione Europea, quindi inapplicabili o al più sopportabili ma solo per l’importanza politica che il nostro paese ha sempre rappresentato nel mediterraneo. Facendo parte della Fai (Federazione antiracket italiana), comprendiamo la paura da parte dei governi precedenti, dell’ingresso in un settore così importante delle mafie insistenti sul nostro territorio, ma crediamo, che la certezza dei tempi e dei termini che devono perdere il loro significato, “ordinatorio”, che per i meno avvezzi alle dottrine giuridiche, vuol dire indicativo, e devono giocoforza trasformarsi in termini perentori. Cioè in termini, che trascorsi periodi di riferimento fanno nascere responsabilità degli Enti Pubblici o degli appaltatori/ concessionari. Noi abbiamo già lanciato delle idee al riguardo, tipo la re-immissione di Ente di controllo delle attività amministrative, prodromiche ad azioni di investimento importanti territoriali. E questo con la reintroduzione del Co.Re.Co. vecchio stile, quello che, per recepire, vedeva l’inserimento del prefetto nella Commissione di controllo delle delibere degli Enti pubblici territoriali, così come è stato fino alla seconda metà degli anni 50. Oppure, nelle grandi, opere inserendo, sia nelle commissioni di gara che in quelle di collaudo, magistrati esperti della materia che in tal modo possono dare maggiore celerità agli atti di affidamento e agli atti di controllo. Non servono ricette da giganti statisti, ma solo politiche di snellimento delle procedure e di realizzazione degli investimenti. Anche solo di quelli i cui fondi sono già stanziati. La settimana scorsa, “Il Sole 24Ore” rappresentava come nei patti per il Sud che il Governo Renzi aveva stanziato per lo sviluppo del Meridione, solo il 2 per cento di questi (circa 300 milioni) era stato speso e questo a più di due anni dai toni trionfali che questo o quel politico dell’epoca usava nelle conferenze stampa. Ma di che parliamo?! Ripeto l’esclamazione. Il nuovo segretario Cgil, tra i vari dati che snocciola, ha mai parlato di questo? Io non ricordo, e se lo avesse fatto non ha condotto una campagna forte per raggiungere l’obiettivo. Questo fa capire perché il Sud è allo stato comatoso, attuale con regioni che faticheranno ad alzarsi economicamente, lasciando mano libera alle associazioni malavitose che sono le uniche che producono, ahimè, reddito reinvestendo il denaro sporco in attività apparentemente legali. Questo fa capire perché la politica oggi è spettacolo, non concretezza, e che la rottamazione, il cui epigono la faceva assurgere a panacea di tutti mali, non ha portato altro che improvvisati al governo e ai posti di comando, ed il cui treno è giunto all’ultima fermata. Se ne accorgeranno prima di andare a sbattere….