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Le strutture politiche nel Paese che cambia

Opinionista: 

In una politica ridotta, ormai, ad un set televisivo parlare ancora di circoli, di sezioni, di segreterie politiche fa un po’ sorridere. Non perché il confronto con l’opinione pubblica si sia azzerato ma solo perché le forme di dialogo si sono trasformate, sono diventate diverse, coinvolgendo il web come strumento nuovo e indispensabile C’è gente che si ritrova in Parlamento solo perché ha saputo muovere intelligentemente le sue mosse su internet, creandosi una rete di iscritti e incanalandoli, poi, verso una candidatura personale. Ma se Renzi comincia a chiedersi se l’uso delle “primarie” è ancora la scelta migliore, se Fabrizio Barca, in uno screening delle sezioni romane del Pd, rileva che 27 circoli sono dannosi per il partito e che un quarto va chiuso da subito, appare chiaro che, nel sistema, molte cose non funzionano più e ci sono, ormai, numerosi capitoli da rivedere. Non concordo con chi, banalmente, critica oggi Renzi, definendolo un “figlio” delle primarie che vuole cambiare colpevolmente le regole del gioco. In quel momento storico, mutuando alcuni principi di una grande democrazia come quella statunitense, sembrò quella la strada da seguire. Ma, soprattutto, in periferia, senza alcun specifico elenco di elettori, l’esperienza rivelò subito tutti i suoi limiti. Incertezza dell’elettorato attivo, proditorie intrusioni tra i votanti di persone e strutture di altri partiti, scontro tra ras locali che si è trascinato dietro scie di polemiche, condizionando, spesso, il risultato finale delle amministrative. Insomma, più il confine è ristretto, più il risultato può soffrire di svariate negatività aprendosi, da quello che si apprende dall’inchiesta romana di Barca, a votazioni non sempre trasparenti, con elettori spesso privi di specifici documenti e scontri tra correnti lontani da qualsivoglia ideologia o linea politica. Sono le architravi di un sistema fragile che merita ampiamente di essere rivisitato. In Campania circoli e sezioni hanno spesso funzionato, in ogni partito, da anni, a ritmo ridotto. Esistono sicuramente spazi dove ancora vive la logica del confronto dialettico e politico, magari per tradizione, per storia ma si tratta, sempre più, di rare presenze. Le segreterie politiche dei parlamentari, degli amministratori locali sono da tempo chiuse, sono le realtà istituzionali, quelle legate alla carica pubblica che ne hanno preso il posto in modo, per molti versi, improprio. È una politica, anche qui, profondamente mutata, dove le primarie sono costrette a svolgersi spesso presso Associazioni, Centri sociali, Istituti scolastici, Chiostri, non per portare la riflessione in mezzo alla gente ma perché non esiste più l’ arcipelago, la rete delle sezioni di una volta. E quel che resta sopravvive, spesso e volentieri, solo come terreno di coltura per le ambizioni dei referenti politici locali, finanziato da un tesseramento non sempre trasparente e dal sacrificio economico di chi ha un leader cui rendere conto. Sarebbe utile un’analisi come quella di Fabrizio Barca anche in Campania. Non solo nel Pd ma, più complessivamente, in tutte le forze politiche. Per capire realmente cosa c’è dietro un sistema di potere come quello locale, per comprendere fino in fondo, al di là dell’ampia fascia di chi non vuole votare più, il reale rapporto tra chi dovrebbe incanalare le istanze del territorio e partiti sempre più fragili e irrilevanti.