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Libertà di stampa e giustizionalismi

Opinionista: 

La recente polemica scatenata dai “grillini”che improvvisamente riscoprono il “garantismo giudiziario” superando anche il concetto di presunzione e di innocenza per cui gli indagati fino ad una condanna non dovrebbero dimettersi salvo il parere di Beppe Grillo, che per quanto riguarda ovviamente gli aderenti del movimento deciderà caso per caso. Due pesi e due misure: il sindaco di Quarto viene espulso dal movimento così come quello di Parma (Pizzarotti) ma non tocca la stessa sorte a quello di Roma (Raggi). Fino a qualche tempo prima i grillini sollecitavano le dimissioni di chi aveva ricevuto anche un semplice avviso di garanzia, magari per abuso di ufficio. Ma nel momento in cui è stato poi raggiunto qualche esponente del movimento dall'avviso di garanzia la musica è cambiata. Non si poteva rischiare a cedere il sindaco della Capitale. Salta così l'automatismo delle dimissioni da parte di chi abbia ricevuto un avviso di garanzia. Si approva il cosiddetto Codice Raggi. Eppure, è il caso di ricordare che la tanto vituperata Democrazia cristiana della cosiddetta Prima Repubblica quando scoppiò Tangentopoli propose in Parlamento l'abolizione dell'articolo 68 della Costituzione sulle immunità parlamentari e non ricandidò alla scadenza elettorale chi aveva ricevuto un semplice avviso di garanzia che, a dire il vero, non è una condanna anticipata ma un avviso che la procura sta indagando. Per la stampa in quelle occasioni invece gli avvisati venivano trattati come “pregiudicati” e subivano anche prima che intervenisse il tribunale un processo mediatico. Prevale oggi, che sono stati toccati esponenti del Movimento 5 Stelle, il concetto di presunta innocenza e semmai solo Grillo può derogare da questi concetti salvo che l'interessato non decida di auto sospendersi. Ma il garantismo di grillini non si esaurisce con il rapporto tra responsabilità istituzionali e giustizia va bene oltre, e merita alcune considerazioni. È davvero inconcepibile, a dir poco, invece di proporre commissioni di controllo sulla stampa e non affrontare i problemi in termini realistici. Ad esempio perché non affrontare il problema dell'informazione, nel rispetto dell'articolo 21 della Carta costituzionale che prevede la libertà di informazione in uno Stato democratico? E non disciplinare, proprio in tal rispetto, i casi di ineleggibilità dei giornalisti alle cariche elettive mettendoli così al riparo di pressioni e condizionamenti ed assicurando la piena libertà di espressione? Ciò varrebbe anche per i magistrati che una volta non eletti ritornino ai propri posti di lavoro, magari spostati di qualche chilometro. Un tempo almeno sino agli anni ‘80 un consigliere regionale che intendeva presentarsi in Parlamento aveva l'obbligo di dimettersi due anni prima dalla scadenza e se le Camere venivano sciolte in anticipo all'atto della data di convocazione dei comizi elettorali. Occorreva anche, pena la ineleggibilità, di far prendere, entro tali termini, atto dai rispettivi Consigli di tali dimissioni, comunque sia stato l'esito elettorale definitivo. Ma, per fare ciò, ritengo che non dovrebbe essere consentito che i giornali siano gestiti da imprenditori non del settore che li usano a volte per condizionare appalti e benefici. Andrebbero alimentate e privilegiate forme di gestione cooperativistiche tra giornalisti e poligrafici che dovrebbero ottenere finanziamenti statali ed una buona fetta di pubblicità. Vedi il caso del “Roma”. Soltanto così si possono modificare i guasti del sistema ed assicurare l'autonomia della stampa senza far ricorso ad ulteriori giustizionalismi.