L’inciucio populista che resuscita Renzi
Tutto è bene quel che finisce bene. Per Renzi, s’intende. Eh già, perché il Governo M5S-Lega che si va profilando, con la benedizione di Berlusconi estorta sotto la minaccia delle urne, in realtà fa felice un solo partito: il Pd. Non a caso il leader dem - quello vero, non quello che sembra il gemello malnutrito di Fassino - è stato l’unico a tifare fin dal primo momento per questa soluzione. Si capisce, mica è scemo. Avvertimmo in tempi non sospetti che avrebbe vinto chi sarebbe riuscito a restarne fuori. A Renzi non sembra vero: d’ora in avanti avrà di fatto il monopolio dell’opposizione e potrà esercitarsi nel tiro al populista, puntando a ciò che resta dell’area moderata e a coloro che comunque non si riconosceranno nell’Esecutivo. La posizione ideale per provare a recuperare almeno una parte dei consensi persi. Se poi Matteo ’o statista e Sua (ex) Premierenza Giggino dovessero toppare qualche scelta di governo importante - cosa tutt’altro che improbabile soprattutto in economia, viste le fregnacce raccontate agli italiani durante la campagna elettorale - per il prestigiatore di Rignano si aprirebbero praterie. Renzi ha anche un’altra ragione per esultare. Comunque la si giri e per quante vagonate di zucchero Fi e Lega usino per indorare la pillola, il Governo M5S-Carroccio certifica la fine del centrodestra come progetto politico originale e autonomo. Certo, né Berlusconi né Salvini lo ammetteranno mai, sono troppi gli interessi in ballo per dividersi; ma la coalizione continuerà a vegetare solo come cartello elettorale e di buona amministrazione. La situazione è paradossale: chi aveva votato Lega, immaginando d’impedire così le larghe intese Berlusconi-Renzi, deve ora fare i conti col grande pasticcio populista. Insomma, da un inciucio all’altro. Come faranno Salvini e Di Maio a mettere assieme il reddito di cittadinanza e la flat tax al 15% è un mistero. Come concilieranno queste misure con l’abolizione della legge Fornero e la necessità di trovare i 12,5 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva è qualcosa che rivaleggia col “quarto segreto” di Fatima. Il rischio è che, constatata la velleità di quelle proposte e l’irrealizzabilità di simili corbellerie, tirino a campare spacciando per grandi rivoluzioni ed epocali riforme un po’ di manutenzione del sistema. L’abolizione della Fornero diventerebbe un allungamento dell’elenco dei lavori usuranti; la flat tax si trasformerebbe in un pannicello caldo (ad esempio applicandola solo sui redditi incrementali); il reddito di cittadinanza si ridurrebbe ad un rafforzamento del già esistente reddito d’inclusione e si potrebbe continuare a lungo. Per non parlare dell’Ilva - che Di Maio vorrebbe chiudere - o della politica estera ed europea che divide i due leader. Invece di puntare a sommare due populismi così diversi, Salvini avrebbe dovuto guidare il processo d’una rinnovata sintesi tra populismo sovranista e popolarismo. Quello sì che sarebbe stato un inedito laboratorio politico per il centrodestra in tutta Europa. Certo, i due potrebbero accordarsi per un Governo che duri meno di un anno per poi tornare alle urne e massimizzare il risultato di qualche provvedimento. Ma sarebbe una strategia di corto respiro. In ogni caso, il rischio di un fallimento è alto. Se ciò dovesse accadere, difficilmente sarebbe Fi - condannata ad un’opposizione morbida per non irritare oltremodo il finto alleato leghista - ad avvantaggiarsene. Renzi, invece, raccoglierebbe i frutti della contrapposizione dura e pura che si appresta a fare. Per non parlare dei rischi economici che correremo a partire dalla seconda metà del 2019, di cui nessuno parla. Difficile che ne venga qualcosa di buono per l’Italia.