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Mancò il coraggio, ma non la salute

Opinionista: 

Suicidio assistito. Che il centrodestra abbia scelto la strada dell’eutanasia è certo. A dimostrarlo è proprio quella che poteva e doveva essere l’ultima occasione per rimetterne assieme i cocci: il referendum. Renzi ha lanciato tutte le sue truppe mediatiche all’assalto degli elettori alternativi alla sinistra: «Il referendum si vince a destra», ha sentenziato. Di fronte a quest’offensiva si è reagito balbettando, profferendo frasi d’ordinanza, dando l’impressione (e non solo l’impressione) di subire supinamente la sfida come un destino ineluttabile. Alla forza del finto riformismo parolaio dell’illusionista di Rignano il centrodestra ha risposto col vuoto incartato. Una posizione che sta sempre più sconcertando i suoi elettori, finanche i più fedeli, che assistono esterrefatti a un duplice, penoso spettacolo: da un lato la campagna per il “No” è monopolizzata dalla demagogia dei 5 Stelle e dalla peggiore sinistra dei nostalgici postcomunisti; dall’altro la mobilitazione del centrodestra - soprattutto di Fi - non è mai partita sul serio. Comunicati, dichiarazioni e incontri più o meno partecipati in luoghi rigorosamente chiusi (e possibilmente al riparo degli elettori), sono buoni per costruirsi un alibi a posteriori, non per incidere sull’esito del voto. Certo, i problemi di salute di Berlusconi sono noti e gravi. Ma da qui all’assenza dalla scena di un intero schieramento politico ce ne corre. Specie in tempi in cui la tecnologia applicata alla comunicazione fa miracoli. Eppure il centrodestra avrebbe tutte le armi per combattere questa battaglia. È stato proprio Renzi, infatti, a spiegare le ragioni del “No”: «Non cambiano i poteri del premier e non cambia la forma di governo», ha confessato replicando alle critiche da sinistra. È proprio questo il punto. La riforma non introduce il presidenzialismo, né il semipresidenzialismo; non modifica i poteri del Presidente della Repubblica; non muta nulla in materia di giustizia (chi tocca i fili muore); non tocca il vincolo di mandato, diventato veicolo di trasformismo parlamentare e strumento di tradimento della volontà popolare; non abolisce il Senato e di conseguenza neanche il bicameralismo. Quanto ai costi della politica siamo al ridicolo: guardate cos’è accaduto con le Province. Insomma, una manutenzione (tecnicamente pessima) del sistema esistente è spacciata per una rivoluzione. Con l’aggravante che, se dovesse passare, renderebbe di fatto irriformabili le istituzioni per i prossimi 30 anni: chi mai si azzarderebbe a proporre di cambiare nuovamente la Costituzione, mentre Governo e Cancellerie di mezzo mondo minacciano il disastro dell’economia? Perché il centrodestra sta zitto su questi temi? Perché, invece di inseguire Renzi, non propone la sua riforma presidenziale e alternativa di sistema, facendone il manifesto di una rinnovata unità? Domande che restano senza risposta, facendo avanzare così il rischio che il premier riesca nel suo intento: spaccare l’elettorato di centrodestra tra oppositori irriducibili e “collaborazionisti” dell’ex Grande Nemico. Un esito che, se sarà certificato il 4 dicembre, oltre a consegnare all’Italia una pessima riforma costituzionale, condannerà il centrodestra all’irrilevanza nel nuovo quadro politico. È presto per dire se gli elettori abboccheranno all’amo del premier e si consegneranno a lui, preferendo un pessimo politico a nessun politico. Ma ciò che fin d’ora si può dire con chiarezza è questo: mancò il coraggio, non la salute.