Napoli allo sbando, troppe le emergenze
Nuovo, allarmante rapporto su un esodo inarrestabile dei giovani, soprattutto da Napoli; una galleria, la Laziale, anello cruciale tra due città, est e ovest, costretta a chiudere per urgenti lavori e ataviche negligenze; strade impraticabili, piene di buche, motivo di ruzzoloni traumatici, spesso neanche più denunciati, meno che meno oggetto di conseguenti vertenze risarcitorie, in molti casi, non riconosciute da sentenze, che li attribuiscono, paradossalmente, alla “distrazione delle vittime”; movida selvaggia e rissosa per aver ingozzato da parte dei cosiddetti organismi competenti piazze, piazzette e vicoli di bar, baretti e altre minuterie, luoghi attrattivi nel weekend per gente per bene e purtroppo, sempre di più, di bulli di centro e di periferie, pronti a usare per un nonnulla micidiali mollette; alberi a rischio dovunque per una scollata manutenzione; un Comune sotto costante osservazione contabile, obbligato a fare solo spese ordinarie, insomma senza alcuna autonomia, in barba ai reboanti annunci del sindaco; periferie in un guado di promesse e di problematiche storiche lasciate marcire, nell’attesa di una ricostruzione radicale, civile, capace di restituirle alla civiltà, al decoro, alla dignità. Che ora pare focalizzarsi, concentrata nell’abbattimento della terza Vela. A tutto ciò va aggiunta la lista, ormai cronica, di progettualità remote, o rimaste sulla carta, del tutto incompiute per colpa di coloro che avrebbero dovuto realizzarle e invece non lo hanno fatto irresponsabilmente: è questo il quadro di imperdonabili inerzie di una città, che ha smesso anche di sperare e sta assistendo al suo inesorabile declino. Di chi la colpa? È giusto domandarselo per il dovere di divulgare correttamente una verità sotto gli occhi di tutti. È di tutti coloro che, in questi ultimi trent’anni, hanno chiesto all’elettorato di governare Napoli, sono stati accontentati anche con suffragi gratificanti - ne ripetiamo nomi e cognomi: Antonio Bassolino, Rosa Iervolino e Luigi de Magistris - e non lo hanno fatto. Anzi, ciascuno, con una progressione sconcertante, si è prodigato per peggiorare la situazione. Stando oggettivamente così le cose, il modo più fermo ed efficace per bloccare la deriva pericolosa è che la città reagisca con atti concreti e implacabili denunce, cui siamo chiamati tutti a dare sostegno in base a una prioritaria e inconfutabile ragione: quella di volere sul serio il bene della città. Guardando ciò che da troppo tempo di negativo, di sconfortante sta avvenendo a Napoli tra la rassegnazione della gente, temiamo molto ciò che il carissimo e indimenticabile amico e collega Nicola Pugliese pose al centro del suo formidabile romanzo Malacqua - rilanciato in questi giorni alla grande in Inghilterra quale migliore dell’anno - come la metafora più tragica e ammonitrice dell’immobilismo storico di Napoli: l’attesa di un accadimento, di una svolta che non accadrà mai, dopo quattro giorni di pioggia con frane e smottamenti. In conclusione: se non si esce dalla spirale di indifferenza per quello che ci accade intorno e ci ferisce a morte, è difficile venire fuori da una fatale immobilità.