Non basta l’accoglienza senza vera integrazione
Riflettendo sui numeri del rapporto “Gli italiani e lo Stato”, elaborato dalla Demos per “Repubblica”, salta agli occhi un dato che smentisce (e demolisce oserei dire) il mito di un’Italia poco incline a far propria la pulsione razzista e xenofoba che sta invadendo l’Europa e l’intero mondo occidentale. Il 40% degli italiani ritiene che gli immigrati siano un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza. Il fatto che quasi un italiano su due esprima questa opinione rappresenta la cifra di quanto gli attentati e le stragi del terrorismo innanzitutto dell’Isis stiano pericolosamente sul punto di raggiungere vittoriosamente il loro principale obiettivo: far dilagare il senso di paura e di impotenza nel cuore delle comunità europee, dar fiato e forza alle forze politiche di estrema destra per la maggior parte razziste, far crescere nell’opinione pubblica l’equazione tra il fenomeno dell’immigrazione e l’insicurezza. Ciò che caratterizza la situazione italiana – come in molti hanno commentato – è l’aver tenuto separati i due momenti dell’accoglienza e dell’integrazione, dell’impegno umanitario a salvare vite umane strappandole alle onde del Mediterraneo e offrendo loro assistenza e della preoccupazione di inserire il maggior numero di immigrati nel tessuto produttivo e civile del paese e nella vita delle comunità. È questa seconda fase che è mancata e la cui attuazione, sia pur graduale, spaventa larghi strati dell’opinione pubblica e alimenta al massimo il consenso verso quelle forze politiche populistiche che fanno passare l’immagine dello straniero che toglie lavoro e casa, che aggredisce le donne, che si dà al delinquere, agli scippi e alle rapine. In pochi però hanno capito che rinchiudere le migliaia di immigrati in centri che diventano bolge infernali dove si perde ogni tratto di umanità a causa del sovraffollamento e delle precarie condizioni igieniche, non è certo la soluzione. Questo non significa che non vi siano stati casi in cui la saldatura tra accoglienza e integrazione ha funzionato: nelle scuole, nei tanti piccoli comuni spesso destinati a un inarrestabile calo demografico, nei luoghi di lavoro (eccezion fatta per lo sfruttamento selvaggio di tanti braccianti ad opera del caporalato mafioso nelle campagne del Meridione), nelle strutture pubbliche, come gli ospedali. Resta però il dato eloquente che su 8.000 comuni italiani solo il 20% ha deciso di accogliere i migranti. Ma il caso italiano non si comprende se non si relaziona alla miopia delle istituzioni europee e all’egoismo degli Stati, a partire dalla Francia e dalla Germania, giacché l’Italia e la Grecia sono state lasciate sole a soccorrere in mare oltre 200.000 persone che aspiravano non certo a restare in Italia ma a trasferirsi verso le nazioni europee più ricche. Indubbiamente siamo dinanzi alla politica dei due pesi e delle due misure, giacché le frontiere italiane si sono aperte per accogliere decine di migliaia di individui in fuga dalla fame e dalla guerra specialmente in Africa e quelle turche si sono chiuse, grazie ai 6 miliardi elargiti dall’Eu e alla chiusura della cosiddetta rotta balcanica, ricacciando siriani, iracheni e afgani nell’inferno della guerra. Personalmente sono molto scettico sulla proposta del nuovo ministro degli Interni di incrementare il numero dei cosiddetti Cie che stanno ancora lì a testimoniare come si possano trattare in modo disumano essere umani. Così come l’intento del ministro della Giustizia di ridurre i tempi e i gradi di giudizio per gli immigrati finisce per mettere sotto i piedi uno dei pilastri della civiltà giuridica italiana.