Omicidio stradale e mobilità responsabile
Appena entrata in vigore, la legge che ha istituito il nuovo reato di omicidio stradale ha, giustamente, fatto convergere l’attenzione generale sull’inasprimento delle pene e sulle aggravanti costituite da determinati comportamenti pericolosi quali la guida in stato di ebbrezza, l’alta velocità, i sorpassi azzardati, il mancato rispetto del semaforo rosso, la circolazione contromano e l’inversione ad U. L’auspicio è che, adesso, inizi, finalmente, un nuovo corso in cui il timore della reale reclusione, sino ad un massimo di 18 anni per i casi più gravi, possa essere un convincente deterrente nei confronti di chi, con troppa sicumera od incoscienza, si lascia andare a condotte di guida estremamente rischiose per sé e per gli altri. E quando la prevenzione fallisce, è importante che intervenga la giustizia con pene severe ed effettive, nel rispetto delle vittime, del dolore dei loro familiari e, più in generale, dell’intera collettività. La nuova legge, tuttavia, non riguarda solo i conducenti dei veicoli, ma anche gli altri utenti della strada e quei soggetti che hanno diretta responsabilità in materia di sicurezza stradale. In effetti, le disposizioni in essa presenti sono destinate ad avere rilevanti ripercussioni pure sul piano dell’efficienza della pubblica amministrazione. Come, infatti, ha ben specificato una circolare del Ministero dell’Interno a proposito dell'omicidio stradale non aggravato, punito con la reclusione da due a sette anni, tale “reato ricorre anche se il responsabile non è un conducente di veicolo”. Pertanto, sono altresì rilevanti i “comportamenti posti a tutela della sicurezza relativi alla manutenzione e costruzione delle strade e dei veicoli”. Cosa significa ciò? Che l’incidente mortale causato, per esempio, da una buca presente da tempo sull’asfalto e nemmeno opportunamente segnalata può essere imputato alla responsabilità di chi, per dovere era tenuto ad intervenire per porvi rimedio e non l’ha fatto. Non a caso l’Anci (l’Associazione nazionale dei Comuni italiani) e l’Upi (Unione province d’Italia) hanno lanciato un appello al ministro dell'Interno, chiedendo che la Conferenza Stato-Enti locali affronti al più presto il tema dell'omicidio stradale e delle sue conseguenze. Si tratta di un risvolto importante, in quanto l’impatto dell’impianto normativo finisce col coinvolgere anche quei comportamenti omissivi o indolenti di certi amministratori pubblici, pregiudicando la sicurezza della circolazione e, quindi, l’incolumità degli stessi cittadini. Uno shock, certo, per i dirigenti delle amministrazioni comunali e degli enti proprietari delle strade, nonché per i responsabili delle case costruttrici dei veicoli e delle officine di riparazione. Però, ci sembra una corretta impostazione che richiama tutti al massimo rispetto dei propri doveri, onde scongiurare il ripetersi di sconvolgenti tragedie come quella verificatasi nel 2013 sul viadotto “Aqualonga” dell’A16 Napoli – Canosa. Non è giusto, infatti, che le norme violate trovino corrispondenti sanzioni solo a carico degli utenti della strada e non anche dei pubblici decisori i quali, invece, dovrebbero dare per primi il buon esempio. Lo Stato, perciò, mette a disposizione degli Enti locali i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie - leggi multe – che, in base all’articolo 208 del Codice della Strada, devono essere impiegati, per una quota pari ad almeno il 50%, in interventi ed iniziative a favore della sicurezza stradale. Purtroppo, però, non sono previste sanzioni esplicite per gli enti inadempienti - ne sono tanti - che, così, continuano ad eludere l’obbligo, utilizzando tali risorse per altre finalità. La nuova legge, invece, potrà, ora, indurre ad una maggiore sensibilità e solerzia nell’esecuzione delle attività di manutenzione, ordinaria e straordinaria, e di prevenzione in generale. Con ciò non si vuole minimizzare un problema reale che condiziona la tempestività degli interventi come la scarsa disponibilità economica; questa, però, non deve costituire un alibi all’inefficienza. Se una buca non può essere riparata, certamente va segnalata e, in ultima istanza, si può temporaneamente interrompere il transito sul tratto di strada interessato. Ma non si può avallare l’assunto in base al quale per mancanza di fondi non si effettuano riparazioni, lasciando inalterato lo stato di pericolo. Altrimenti, con questa logica, si finirà col giustificare anche l’automobilista che ha commesso un incidente con un veicolo malmesso perché non aveva i soldi per aggiustarlo. La tutela della vita umana è prioritaria e costituisce, perciò, il principio di base di quella “mobilità responsabile” da noi promossa per sensibilizzare le amministrazioni pubbliche e gli utenti della strada ad un maggiore rispetto delle regole e dei doveri.