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Partito della Nazione: il progetto è fallito

Opinionista: 

Ora che le urne hanno dato il loro responso e in attesa che tra Roma e Napoli si riesca ad escogitare una soluzione al problema della futura governabilità della Regione Campania, trovando auspicabilmente una via d’uscita che concili il rispetto della legge con la volontà popolare che ha manifestato la sua scelta, non è forse sbagliato volgere lo sguardo a uno scenario politico più ampio che riguarda certo il futuro prossimo del governo e del partito che ne è l’azionista di maggioranza, ma anche quello della sopravvivenza di una idea della politica come partecipazione democratica e consapevole della gente. Si può certo capire la stizzita reazione di Renzi e dei suoi fedelissimi nei confronti di chi ha parlato di una sconfitta del Pd e l’argomento del 5 a 2 non è poi del tutto infondato. Ma se si restasse a questo livello di analisi si commetterebbe, a mio avviso, un grave errore che non tiene conto del voto nella scomposizione di alcuni elementi di fondo. Il primo di essi è la presenza ormai stabile nel nostro panorama politico di forze dichiaratamente ostili all’attuale sistema della rappresentanza. Questo vale innanzitutto per la Lega che non solo stravince in Veneto, ma fa registrare percentuali a doppia cifra in Liguria, Toscana e Umbria, con una erosione evidente di storici bacini elettorali della sinistra. E vale anche per una parte del M 5 Stelle che continua a dibattersi tra rifiuto nichilistico di ogni contaminazione con gli odiatissimi democratici e tentazione, ancora flebile, di aprire un confronto sui problemi reali del paese. Se poi a ciò si aggiunge che il 50% degli elettori è restato a casa, allora il quadro diventa serio e preoccupante. Ed è di questo che il Pd e il suo segretario sembrano non rendersi conto, specialmente quando illusoriamente pensano che a tale situazione si possa reagire con l’accelerazione delle riforme e con una regolamentazione di conti tutta interna al partito. Se però mettiamo insieme i voti politici che si dichiarano radicalmente critici di questa maggioranza e dell’intero sistema politico così come esso si presenta (specialmente alla luce del sempre più ampio e ramificato fenomeno della corruzione della politica) e i voti non politici di chi alle urne non si è recato, siamo di fronte a un consenso reale per Renzi e il suo governo che di poco oltrepassa la soglia del 25%. Questo comporta a mio avviso due conseguenze politiche delle quali Renzi e il suo “cerchio magico” farebbero bene a tener conto: la prima è l’obiettivo fallimento della prospettiva del Partito della Nazione, considerato che l’ipotesi non solo ha contribuito a una forte erosione del voto di sinistra al Pd, ma non ha neanche aperto una significativa breccia nel voto di centro moderato e di destra. Questa constatazione ci porta alla seconda conseguenza: la necessità di ripensare l’Italicum, dal momento che se il Pd non superasse la soglia del premio di maggioranza, si andrebbe al ballottaggio tra i due partiti che hanno preso più voti, presumibilmente Pd e 5 Stelle, col rischio di ritrovarci Grillo presidente del consiglio. Infine una considerazione sul Pd: pensare di costruire un consenso di massa basandosi solo sull’effetto- leader, si dimostra a lungo andare una strategia perdente. Ci può anche stare nella società postmoderna il partito personale, ma non ha vita lunga un partito che non viva anche nei territori, nella società, nei luoghi dove si lavora, si produce, si studia, si ricerca, si crea, ma soprattutto in quelli dove si soffre la disoccupazione, la fame, l’ingiustizia, le enormi diseguaglianze sociali e, infine, nei luoghi dove cresce la corruzione, un cancro che sta lentamente distruggendo la vera unica eredità della sinistra riformatrice nel nostro paese: quella questione morale su cui tanto si spese Enrico Berlinguer. E’ da questi serbatoi di acqua putrida e infetta che nascono i germi della dissoluzione della politica, di quella vera, la politica come servizio e come difesa e potenziamento del bene comune. Ma forse c’è qualcosa che travalica la regione, i comuni, i territori locali e che sta investendo, come ha lucidamente osservato Mario Deaglio, la fase attuale del capitalismo globale, in cui la corruzione sembra essere il segno macroscopico della crisi: dagli scandali italiani ormai a ripetizione, alla corruzione dilagante della Fifa, alla multa comminata alle grandi banche internazionali per aver manipolato le quotazioni dei mercati. È “un filo sottile che lega gli affari del quartiere agli affari del pianeta, e questo filo si chiama disonestà”.