Politica “fai da te”, un gioco senza futuro
C’è già fermento, nei palazzi romani della politica, in vista delle elezioni amministrative della primavera prossima. Anche se Matteo Renzi tende a minimizzarne la valenza politica, non v’è dubbio che l’esito del test sia destinato a incidere, e non poco, sui rapporti tra i partiti e sulle stesse prospettive della legislatura. Se, per intendersi, il Pd dovesse riportare un successo rilevante, il premier potrebbe essere tentato (magari confortato da un buon esito del referendum sulle riforme in programma per ottobre) di anticipare al 2017 il voto politico. In caso contrario, sarebbe con ogni probabilità impegnato a fare il possibile affinché venga rispettata la scadenza naturale del 2018. Ma queste attesissime consultazioni amministrative potrebbero far registrare – stando alle voci che circolano – una sorpresa tutt’altro che irrilevante poiché la competizione potrebbe svolgersi non solo e non tanto tra le forze politiche, ma tra queste e le liste civiche che di questa competizione sembrano destinate ad essere il fenomeno emergente. Il boom delle liste civiche ha ovvie motivazioni: nasce dalla delusione ormai profondamente radicata nell’opinione pubblica per il modus operandi dei partiti organizzati, per la loro incapacità di rendersi realmente interpreti delle esigenze della gente, per quella inveterata tendenza a esser fini (cioè un microcosmo rinchiuso in se stesso e preoccupato soltanto dei propri interessi) anziché strumenti del bene comune, per la rissosità al proprio interno e nei rapporti con le altre forze che ne accentua un’impotenza che rischia ormai di diventare cronica. Ecco, allora, emergere le liste civiche, vale a dire liste di cittadini che, svincolati dai partiti, si propongono di farsi interpreti delle richieste della gente, affrancati dalle ingessature della partitocrazia. Una bella cosa, in teoria, una nota di freschezza nel grigiore di un dibattito politico sempre più asfittico, l’espressione di una volontà partecipativa che, a ben vedere, come ci ricorda un’antica canzone di Giorgio Gaber, è il fondamento della democrazia e della libertà. C’è da dire, dunque, ben vengano le liste civiche? E c’è da augurar loro un ampio successo perché mettano finalmente in liquidazione i partiti, con tutto il carico dei loro vizi inveterati, con le loro inadempienze ormai croniche? Prima di lasciarci andare a facili entusiasmi, è forse bene fermarsi un attimo a riflettere. Confessiamo di avere più di una perplessità: due soprattutto, una di principio, l’altra basata sull’esperienza. La prima si basa sulla convinzione che anche per governare una comunità locale, è indispensabile aver riguardo al quadro complessivo, guardarsi attorno, rendersi conto di esser parte di un contesto dal quale non si può prescindere. Ci spieghiamo: pensare di risolvere i problemi di una città, grande o piccola che sia, senza tener conto di ciò che accade intorno ad essa, è assolutamente velleitario. Per contro, c’è nelle liste civiche, la tendenza a affrontare i problemi in un’ottica strettamente localistica, senza guardarsi attorno, laddove i partiti, per loro natura, operano in un ambito meno ristretto. Insomma, le liste civiche svolgono la loro azione all’insegna di un egoismo campanilistico alimentatore di contrasti e inevitabilmente destinato a entrare spesso in conflitto con gli interessi nazionali. A questa prima perplessità se ne aggiunge (almeno) un’altra. L’esperienza insegna, infatti, che nella gran parte dei casi, le liste civiche, con il trascorrere del tempo, sono destinate a sfaldarsi: vengono meno i motivi dello “stare insieme”, gli eletti si dividono e molti di loro finiscono con il confluire nei partiti tradizionali. In parole povere: le liste civiche non offrono alcuna garanzia di continuità e di stabilità. Quel che stupisce, peraltro, è che al proliferare delle liste civiche, fa da contrappunto un forte calo delle iscrizioni ai partiti. Un rilevamento recente ha accertato, infatti, che agli inizi degli anni Sessanta il numero degli iscritti era più del doppio rispetto al numero attuale. È un dato sconcertante e, almeno in apparenza, decisamente contraddittorio. Abbiamo già detto che i partiti non godono di buona fama presso l’opinione pubblica e che il pessimo giudizio che su di essi viene dato è in gran parte dovuto ai loro vizi e alle loro colpe. Ma poiché siamo convinti che restino strumenti indispensabili per una corretta dialettica democratica, non possiamo fare a meno di ritenere che sarebbe assai più produttivo che quanti realmente vogliono adoperarsi per il bene comune, anziché disperdersi nella velleitaria “politica fai da te” delle liste civiche, entrassero nei partiti con l’obiettivo di impegnarsi a rinnovarli e a rivitalizzarli.