Quella crisi infinita, nelle pieghe del No
Non sorprende il successo del No. Sorprendono, invece, le dimensioni di questo trionfo largamente annunciato. Diciotto punti di distanza (59% contro 41 ) sul piano nazionale sono un abisso inatteso, un burrone dove precipitano non soltanto le logiche governative di Renzi ma anche una serie di proclami che sembravano essere le parole d’ ordine per una nuova, moderna agenda del Paese. Il segretario del Pd ha voluto ricaricare, inopinatamente, la sua legittimazione. Non ce n’era bisogno. Nessuno glielo aveva chiesto. Dopo aver vinto varie mani era sicuro di poter giocare, senza problemi, sul tavolo verde della politica, l’intera posta. Ma è stata una semplice illusione. La gente non gli ha perdonato l’overdose di presenza e di comunicazione di questi lunghi mesi, quell’ autoelegia fatta di risultati poco palpabili, spesso imperscrutabili, la percezione di un racconto che non corrispondeva oggettivamente alla realtà. Insomma, tra anni di governo più rappresentato che esercitato, tra le pieghe di una crisi economica crescente che ha ridotto largamente i margini di vivibilità, tanto in Italia quanto in tutta l’Unione Europea. Non è un caso che, accanto a Renzi, affondi anche Hollande, mentre la Brexit cambia il volto del vecchio continente, la Merkel ha seri rischi di riconferma e negli Stati Uniti il vento di cambiamento, con l’arrivo di Trump, sia già soffiato forte. E non è più un problema di destra o di sinistra. La crisi non ha bandiere esplicite ma travolge tutto, chiedendo dovunque di voltar pagina. Una crisi di rigetto puntualmente confermata dal voto di domenica. Sbagliano nuovamente i sondaggisti che predicavano un successo del No intorno al quattro, cinque per cento. Ma appare chiaro, anche in questa occasione, che la gente preferisca evitare ogni forma di controllo, dichiarandosi a favore di chi comanda, per poi condannarlo nel segreto dell’ urna. Napoli e la Campania si iscrivono, nel panorama nazionale, per l’ ennesima volta, come la punta di un iceberg legata ad un malcontento chiaro, inequivocabile, manifesto. Qui dove il Sì non raggiunge il 32%, la sensazione di distacco economico, sociale, culturale è assai avvertita e nemmeno il dinamismo politico di De Luca poteva invertire questa evidente tendenza. Il crepuscolo della legislatura, ora, si tinge di fosche previsioni. Non è un caso che, in questo contesto, la direzione del Pd di oggi sia slittata ulteriormente. Nessuno, in realtà, sa esattamente quale sbocco dare alla situazione. In teoria, si dovrebbe andare avanti ancora, per almeno sette, otto, mesi per provare a cambiare la legge elettorale. Ma non ci sono certezze. Troppi gli interessi in campo e troppe le richieste di voto anticipato. Votare con l’antico proporzionale potrebbe essere, oggi, qualcosa in più di una semplice tentazione.