Quell’Amarcord in grigioverde
Ne avrete sentito spesso parlare. “Ho fatto il militare a Cuneo “ è stata, per lunghi anni, una battuta semplice, particolarmente gettonata negli ultimi decenni del Novecento, figlia della creatività di un piccolo genio chiamato Totò, capace di sorridere alla malinconia. Ma, dietro il sipario comico di un personaggio universale, c‘era una sferzante verità. La cartolina di precetto, temuta e attesa, la naja, i quindici mesi dedicati alla tua Patria, il grigio verde che ti aspettava. Militare. Parola magica che, spesso, condizionava futuro ed attese di tante generazioni, sradicate dalla famiglia per traferirsi altrove, in luoghi spesso sconosciuti, talvolta limitrofi, per vivere un’esperienza tanto appassionante quanto formativa. E, attorno al periodo di leva, si costruivano cento storie, mille aneddoti. Innanzitutto, per molti anni, essere scartati alla leva sollevava mille sospetti. Come mai non l’hanno preso? Quali problemi presenta? È davvero sano, come dice, o ha delicati, inconfessabili limiti di salute? Erano le domande che si ponevano, spesso, i futuri suoceri davanti al fidanzato di una figlia, che, magari, aveva dribblato quei lunghi mesi in divisa. Perché, in quegli anni, fare il militare era anche un oggettivo, indispensabile passaporto per la propria salute. Era un’Italia allegra e ridanciana che spediva allegramente al Nord i figli del Sud, muovendosi poi, ovviamente, anche in direzione contraria. C’erano luoghi per certi versi privilegiati, mai frequentati prima, che si conoscevano a menadito, secondo scelte e inclinazioni. La Spezia e Taranto per la marineria, Pisa per chi si appassionava al paracadutismo, Caserta per l’ aeronautica, Udine per la fanteria. I medici, invece, se superavano le prove, erano automaticamente assegnati a Firenze, col ruolo di ufficiale. Le traiettorie erano tante, c’era solo l’ imbarazzo della scelta. Ma c’era, soprattutto, una particolare, forse straordinaria esperienza di vita che ti segnava, in qualche modo, per sempre. L’Italia era ancora profondamente divisa. Un viaggio al Nord era ancora una piccola impresa, ammantata di mille incertezze. Ma la leva era anche un mezzo per sprovincializzarsi, i primi, veri momenti di libertà dalla famiglia, le prime, grandi esperienze di uomo. Adesso che tutto è stato cancellato, Cuneo continua a non essere conosciuta da nessuno. I giovani, persino i giovanissimi, viaggiano tranquillamente in Europa, conoscono altre lingue più che altri dialetti, si muovono in assoluta autonomia e, in molti casi, hanno già in programma un viaggio oltreoceano. Un miglioramento? Un avanzamento del costume italico? Sulla carta, la risposta non può che essere positiva. Nei fatti, emerge chiara la sensazione che alle giovani generazioni, oggettivamente prive di precisi punti di riferimento, quei quindici mesi o poco più, con tutto il loro portato di positività e di negatività, oggettivamente manchino. Certo, la trasformazione della società è stata rapida, il web ha aperto rapidamente orizzonti sconosciuti, venti anni, oggi, cambiano letteralmente un’epoca ma internet, con i suoi dialoghi criptici e confusi, non riesce, probabilmente a trasmetterti quella maturità che la divisa in grigioverde ti trasferiva. E le generazioni crescono così, meno semplici e più complesse, figlie di un modernismo che fa sempre più rima con opportunismo.