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Renzi deve temere soprattutto se stesso

Opinionista: 

Amato o odiato, deriso o esaltato, osannato come il solo leader in grado di portare il nostro Paese fuori dal guado o demonizzato come il più pericoloso degli avventurieri, Matteo Renzi, comunque lo si giudichi, resta uno dei protagonisti principali della vita politica italiana. E, a prescindere dagli eccessi dei suoi sostenitori o dei suoi denigratori, è fuor di dubbio che con lui bisognerà fare i conti nei mesi a venire. Clamorosamente sconfitto nel referendum dello scorso 4 dicembre, il cui esito ha assestato un duro colpo ai suoi progetti riformatori, Renzi aveva di fronte a sé due strade: abbandonare la vita pubblica e ritirarsi nella sua Pontassieve o rilanciare la sfida. Ha scelto la seconda e, dopo un lungo periodo di "astinenza", rieletto a furor di popolo alla segreteria del Pd, è tornato in campo più determinato che mai. Ma è nelle prossime elezioni (che se il sempre più scricchiolante accordo sulla legge elettorale lo consentirà dovrebbero svolgersi in settembre o in ottobre o, altrimenti, nella primavera prossima) che si deciderà il suo futuro politico. Lasciamo comunque da parte lo squallido spettacolo che le forze politiche stanno dando in Parlamento e chiediamoci: quali possibilità ha Renzi di uscire vittorioso dal prossimo confronto elettorale? Ne ha. Ma per vincere la partita dovrà guardarsi non solo è non tanto dai molti avversari che sono pronti a "fargli la festa", quanto, soprattutto, da quello che è, a ben vedere, il suo principale nemico: se stesso, il suo temperamento, la bulimia del potere che alberga in lui e dalla quale si lascia troppo spesso condizionare, la sindrome dell'uomo solo al comando. È proprio questa intemperanza che il segretario Pd deve temere, ancor più dei rancori di Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani, dell'ansia di rivalsa di Silvio Berlusconi, delle ambizioni dei Cinquestelle di Beppe Grillo la cui inaffidabilità comincia a palesarsi con sempre maggiore evidenza. Insomma il vero compito che attende Renzi è quello di smentire l'antico adagio secondo cui "il lupo perde il pelo, ma non il vizio ". Diciamolo senza infingimenti. La riforma costituzionale che egli, a dicembre, sottopose al giudizio degli italiani, sia pure con qualche modifica (ma il meglio, si sa, è nemico del bene) era meritevole di approvazione e l'Italicum, cioè la legge elettorale ferita a morte dalla sentenza della Corte costituzionale, era preferibile a quella sostenuta ora da Pd, Forza Italia, Lega e Cinquestelle. Se queste riforme sono rimaste al palo, ciò è dovuto in massima parte all'avversione per Renzi che ha dato luogo a una coalizione incredibilmente disomogenea e innaturale che ha visto associati in una sorta di armata Brancaleone D'Alema, Berlusconi, Salvini, Bersani e Grillo. C'è nella bocciatura della proposta renziana - inutile negarlo - una preponderante responsabilità dello stesso Renzi, per certi suoi comportamenti, per il modo in cui si è proposto, per la tendenza a svolgere il ruolo di "asso pigliatutto", tutti argomenti sui quali hanno fatto leva i suoi avversari accreditando ingenerosamente presso l'opinione pubblica l'immagine di un dittatorello assetato di potere. È un'accusa ingiusta. Siamo personalmente convinti che Renzi - soprattutto in un periodo in cui i leader politici scarseggiano - possa costituire una positiva risorsa per la nostra democrazia. Ma è con se stesso che l'uomo deve fare i conti, rinunciando a spettacolari rivincite che possono trasformarsi in un boomerang. Un esempio: puntare, come Renzi sembra avere intenzione di fare, al doppio incarico di segretario del partito e di presidente del Consiglio è, a nostro avviso, un errore. Sarebbe preferibile ch'egli si dedicasse a tempo pieno al partito al quale occorre dare una più netta identità, una maggiore unità, una più forte spinta propulsiva, per dirla con un'espressione cara a Enrico Berlinguer. Sarebbe, peraltro, del tutto ingiusto (anche agli occhi della gente) estromettere dalla guida del governo Paolo Gentiloni che non ha operato male, certo assai meglio dei due - Mario Monti e Enrico Letta che infelicemente lo hanno preceduto, prima di Renzi, e il suo carattere calmo e moderato, potrebbe mitigare l'effervescenza del segretario dem. Renzi, dunque, è il vero padrone di se stesso e del suo futuro e il suo eventuale successo non dovrà essere a vantaggio di una sua sempre maggiore escalation personale, ma della sua squadra.