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Rondini di primavera, i ragazzi ci guardano

Opinionista: 

I ragazzi si sono presi le prime pagine dei giornali. Prima Greta e i suoi fratelli lanciando, dalle strade del mondo, il grido di dolore per la Terra, poi Ramy, Samir e gli altri ragazzi eroi di Crema che hanno salvato i compagni dal bus in fiamme. È come se la generazione degli “sdraiati” – per dirla con Michele Serra – si fosse all’improvviso svegliata da quel sonno profondo in cui sembrava addormentata e, togliendo cuffie e auricolari, si fosse messa in ascolto della vita reale del mondo. Le semplificazioni non aiutano. Forse non è vero che tutti ragazzi siano abulici, indifferenti e disincantati ed è da verificare che questo ritorno dei giovani all’impegno sociale e politico sia davvero un fuoco impetuoso e non una fiammella destinata a spegnersi assai presto. Quello che è certo è questa irruzione dei giovani nella cronaca dei nostri giorni deve mettere una sana inquietudine negli adulti che, per pigrizia e superficialità, continuano a guardarli solo per etichettarli, relegandoli in luoghi comuni e lontani dalla realtà. I nostri ragazzi vivono nel tempo che noi abbiamo consegnato loro, in cui si è ormai consumato il passaggio dal futuro-promessa al futuro minaccia e non solo dal punto di vista economico. I padri avevano fondato i loro sogni sulla convinzione che la storia dell'umanità fosse inevitabilmente una storia di progresso e se il processo storico permetteva di guardare al futuro come ad una promessa di sempre maggior benessere, oggi questa fiducia non esiste più. È avvenuta una vera e propria rottura che ha ucciso la speranza di un futuro migliore. Forse è venuta meno non tanto la convinzione che il futuro sia sempre necessariamente migliore, ma piuttosto che un futuro migliore sia anche soltanto possibile. Viviamo e soprattutto i giovani vivono in una società prigioniera del presente, dominata dalla tecnologia, dalla velocità e dal consumismo, siamo invasi da un diffuso senso di caos, di fragilità e di debolezza. A cominciare dal linguaggio, sempre più semplificato e degradato sull’onda di un nuovo analfabetismo, che va contrastato con una nuova sfida formativa basata sulla riscoperta della bellezza e del significato autentico e profondo delle parole. L’egemonia digitale ha portato alla frammentazione del sapere fondata su una somma di opinioni emotive che disorientano invece di indirizzare verso il pensiero razionale. Per farci capire chi siamo diventati nel mondo globalizzato, dominato dall’impero digitale, il cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha utilizzato una metafora del filosofo Soren Kierkegaard: «La nave è finita in mano al cuoco di bordo e ciò che indica il comandante con il suo megafono non è più la rotta ma quello che mangeremo domani». Dobbiamo aiutare i giovani a liberarsi dalla dittatura del presente, investendo con coraggio sulla loro formazione. Una formazione che forse non promette nulla in termini di occupazione, ma garantisce la costruzione delle loro personalità esaltando i valori che ogni ragazzo porta con sé. Le vicende di Greta e dei ragazzi di Crema devono indurre gli adulti non solo a non omologare i giovani, ma a riconoscere tra loro quelli che non vogliono rassegnarsi al futuro come minaccia e provano a recuperarlo come speranza. Sono i giovani che esprimono un mondo vivo e pulsante, non ingenuo e spaurito, con alla base chiari valori di riferimento pur in un contesto di grande incertezza. Consapevoli delle difficoltà e degli ostacoli che li aspettano, ma che continuano, nonostante le poche opportunità di valorizzazione, a credere nelle proprie capacità e a chiedere di essere messi alla prova. La crisi ha peggiorato le loro prerogative, ma non abbassato ambizioni e aspettative. I giovani vanno accompagnati a trovare la loro identità, non assimilati alla nostra. I giovani non cercano adulti perfetti, ma persone credibili e appassionate. Persone che non dicano loro cosa fare, ma facciano assieme a loro. E che sappiano guardarsi dentro, verificando la coerenza tra teoria e pratica, la credibilità del loro essere testimoni. Diceva Giorgio La Pira che “i giovani sono come le rondini sentono l’arrivo della primavera”. Non geliamo i germogli di una nuova primavera giovanile, lasciamo che i nostri ragazzi siano migliori di noi.