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Scuola, va ristabilita la dignità della docenza

Opinionista: 

Che l’istruzione sia un tema centrale nel nostro Paese, non ce lo dicono solo le forti tensioni che intorno ad essa si vanno addensando e che potrebbero portare anche al selvaggio blocco degli scrutini. In realtà, esse vengono da lontano, molto da lontano e la resistenza contro la riforma, o semiriforma odierna non è solo il frutto, perché anche questo c’è, della frattura prodottasi tra il mondo sindacale e l’Esecutivo in carica; è anche, e soprattutto, l’esito della situazione determinatasi nel mondo scolastico per l’assenza d’ogni seria politica dell’istruzione, voluta con pervicace determinazione per almeno un cinquantennio. Fino all’inizio degli anni sessanta, ascendere ad una cattedra di liceo significava aver dimostrato profonde competenze ed aver dato prova, nell’ambito di difficili concorsi d’accesso, d’essere a livelli molto elevati di cultura. Questo procurava naturalmente una collocazione sociale eletta e di notevole considerazione. Anche i docenti dei gradi inferiori riscuotevano rispetto e rimanevano lungamente nel ricordo dei loro allievi come coloro che avevano contribuito in modo significativo alla loro educazione. Basterebbe ricordare le tante pagine – talora retoriche sì, ma comunque segno di effettivo sentire – che la letteratura ha riservato al maestro elementare ed al senso di dignità con il quale egli viveva la sua funzione, pur spesso in condizioni economiche di non esattamente agiate. Per non parlare poi del lustro che una cattedra universitaria conferiva a chi la raggiungesse. Insomma, il mondo dell’istruzione, se non di ricchezza (ma nemmeno di povertà), viveva molto della considerazione che generalmente lo circondava e ciò determinava un alto senso di responsabilità per la funzione docente. Tutta quest’aura è andata perduta nel corso d’un cinquantennio, appunto. Un cinquantennio durante il quale quel criterio di qualificazione professionale e le conseguenti gerarchie che avevano costituito il tratto distintivo della funzione docente è stato progressivamente soppiantato dalla logica della sistemazione clientelare. L’accesso ai ruoli dell’insegnamento scolastico ha sempre più perso il senso della selezione dei migliori, per sostituirlo con l’ingresso in interminate graduatorie, gestite dal mondo del sindacato e dall’apparato ministeriale, per decenni stabilmente sottoposto al controllo della Democrazia Cristiana. E concorsi ed abilitazioni (queste ultime, altro assurdo pasticcio), quando anche si facevano – spesso a posti zero – si svolgevano nella totale dequalificazione, spesso all’esito di corsi più o meno fantasma e comunque del tutto inidonei a stimolare le menti e rigorose selezioni. In realtà, l’insegnamento era rapidamente degradato da serio compito di formazione del cittadino responsabile e consapevole dei propri interessi e doveri, a mezzo per la raccolta del secondo stipendio per la famiglia piccolo e medio-borghese italiana. Il disastro che ciò ha provocato in termini di qualificazione sociale dei docenti e di formazione intellettuale dei discenti si è poi progressivamente trasferito ai piani più alti e nello spazio d’un ventennio ha anche disastrato l’Università, delle cui condizioni preferisco non dire. Ora, non è difficile comprendere le ragioni dell’ostilità ad una riforma che punta sul creare meccanismi sia pur blandi di qualificazione: perché sì, si ha proprio la sensazione che sia questa la vera ragione dell’opposizione, quella più profonda non, invece, il fatto che queste valutazioni siano rimesse al dirigente scolastico: una scelta per vero tutt’altro che felice, considerati i criteri di selezione che presiedono alla nomina di questi ultimi. Il problema è che una mentalità largamente formatasi ai principi dell’indistinzione – siamo tutti eguali, non esiste il merito – non può che vedere come fumo agli occhi una qualsivoglia forma di graduazione delle qualità, che vedrebbe anche intaccare gli attuali assetti del potere scolastico. Ciò che altrove è ragione di stimolo al miglioramento, da noi provoca reazioni paralizzanti. Ma se non si troveranno modi per ristabilire la dignità della docenza – e, tra questi, il trattamento economico ne è certamente elemento determinante – è assai improbabile che questo paese possa davvero aver la sensazione di ripartire. Un’impresa titanica, che però pur va avviata se non si vuol perdere ogni speranza nel futuro.