Tradizione socialista: è in crisi profonda
Sono in molti a chiedersi se esista ancora in Italia un partito di sinistra e non mi riferisco a quelle formazioni minoritarie che tentano di costruire un nuovo soggetto politico alternativo al Pd e che già prima di celebrare il congresso (mi riferisco a Sinistra Italiana) hanno dato vita a una ennesima scissione, ma a quel partito che sembra aver cancellato non solo dal suo nome, ma anche dal suo programma e dalle sue scelte politiche, qualsiasi parvenza di socialismo riformatore. Certo la tradizione socialista europea non gode di buona salute in questa fase storica: è in crisi profonda in Francia, è in caduta libera di consensi in Spagna, mostra qualche sintomo di ripresa, ma ancora flebile in Germania, appare surclassata dal partito conservatore in Gran Bretagna, ha vita grama in quasi tutte le nazioni dell’ex blocco sovietico. Mi si potrebbe obiettare che le politiche non si definiscono e non si costruiscono solo con una denominazione, tant’è che anche il partito di Hitler aveva nel suo nome la parola socialista. Eppure io credo che nel caso italiano l’abbandono del nome a favore di denominazioni sempre più neutre, prima Partito democratico della sinistra (Pds), poi Democratici di sinistra (Ds), infine Partito Democratico (Pd), nato da quella che Macaluso giustamente definì una fusione a freddo tra i reduci del comunismo italiano e i reduci della democrazia cristiana, abbia corrisposto a una parallela sterilizzazione di tutto ciò che dovrebbe caratterizzare l’azione politica di una forza di sinistra, sia pur moderata e riformatrice. L’elenco delle scelte e dei comportamenti che hanno snaturato questa sinistra sarebbe lungo. Mi limito a citare le politiche sul lavoro sempre più convinte della giustezza di un presupposto rivelatosi fallimentare e cioè che un maggior profitto delle imprese e l’abolizione dell’art. 18 avrebbero prodotto un incremento dell’occupazione ed invece hanno provocato non solo l’aumento del numero dei senza lavoro, ma anche una vergognosa politica di sfruttamento e precarizzazione, il cui simbolo è diventato l’impressionante incremento dei voucher. Non meno significativo è il fatto che sia stato un esponente figlio del vecchio Pci, il ministro degli interni Minniti, a proporre una serie di provvedimenti che, al di là delle buone intenzioni – ammesso che siano tali – finisce per restringere ancora di più la già scarsa dote di diritti a disposizione dei migranti. Si ha tanto l’impressione che il decreto Minniti non abbia, lo vogliamo concedere, solo come fine quello di snellire le procedure di rimpatrio o di identificazione, ma anche e soprattutto quello di fare concorrenza nella ricerca di consensi elettorali alle posizioni della destra di Salvini e Meloni e al populismo di Grillo. Resto convinto che se la sedicente sinistra impersonata dal Pd continua a spendere le sue energie in dibattiti tutti interni alla logica della conquista e del mantenimento del potere dentro e fuori il partito, in bizantinismi relativi alla data del congresso e delle elezioni, finirà per perdere del tutto il contatto con la drammatica realtà delle ingiustizie sociali, della miseria crescente di fette rilevanti della popolazione, dell’aumento delle ingiustizie e delle iniquità che nel terzo mondo si commettono a danno dei più deboli e degli oppositori di regimi dittatoriali spietati. Qualcuno potrebbe osservare quanto siano ideologiche le mie posizioni. La cosa non mi turba più di tanto perché sono in buona compagnia di un prete di nome Bergoglio, meglio noto come Papa Francesco, l’ultimo socialista.