Un anno drammatico senza un necrologio
Vorremmo dimenticarlo in fretta questo 2016, un anno di lutti, di continui terremoti geofisici e sociali, un anno in cui l’escalation dell’odio e del rancore etnico e religioso non si è mai fermata, un anno epilogo di un governo bugiardo, e testimone di una rinascita del nostro Sud annunciata ma mai decollata, un anno di molte parole inutili e pochi fatti positivi, di addii dolorosi e polemiche pretestuose. Un anno che ha certificato i cambiamenti epocali nel nostro modo di pensare, di concepire l’informazione, che ha imbastardito ulteriormente, se ce ne fosse stato bisogno, la vita politica e l'educazione civica del nostro Paese, e che ci ha consegnato un rating di nascite e invecchiamento disarmante, nient'affatto promettente per la già decadente economia italiana, una nuova frontiera dell'emigrazione, vera fuga di cervelli e di giovani. Un professore, al Liceo, era solito invitarci a riflettere su quanto fosse importante la pagina dei necrologi. Curioso, pensateci un attimo, credo che rappresentasse la cartina di tornasole della diffusione dei quotidiani: i giornali a grande tiratura avevano la pagina con il maggior numero di necrologi, quasi a sottolinearne il successo. Se fosse ancora vivo, si renderebbe conto di quanto tale costume sociale sia cambiato: i necrologi oggi sono merce rara, raccolti ormai in un angolo limitato, come una rubrica di “Mosconi” dell’aldilà. Non si può negare la funzione pionieristica dei necrologi sull’odierna abitudine dei 140 caratteri dei twitter; la tecnica di scrittura, quasi telegrafica, è uguale, ma non si commenta soltanto la dipartita di qualcuno, ma qualsiasi occasione è lecita per manifestare il proprio “atto di presenza”, nella speranza vanitosa che il numero dei “followers” s'inpenni verso l'alto! Infatti, cosa altro ha rappresentato negli anni e ancora oggi, la pagina necrologica, se non una malcelata tendenza al presenzialismo, all'autoreferenza, per trasmettere a lettori, amici e parenti, di essere lì, anche dopo anni di colpevole silenzio? Oggi, questo aspetto della vanità umana, che non lascia tranquilli manco i morti, si è espanso inquinante sui social, e si legge di tutto, di troppo, e non si finisce mai di scadere nel ridicolo. Cosa dire allora di questo “annus terribilis”, questo 2016 che non scivola via in silenzio, non assordante di fuochi pirotecnici ma di cupi bagliori di guerra? Non merita. Quest'anno bisestile, già quando è nato ha scritto da sé il proprio epicédio, ha raccolto e fatto implodere in sè tutte le dicerie popolari come foriero di disgrazie, anzi le ha esaltate, “anno bisesto, anno funesto”. Non staremmo qui a parlarne, se non fossimo scioccati dall'ultima notizia che in questi giorni ci appioppa, greve come un macigno, colpendo ancora noi campani: siamo la regione più arretrata, più pericolosa e disattenta per la salute dei nostri abitanti, siamo precipitati indietro di vent’anni. In verità, chi scrive, da tempo ha tentato di allertare la coscienza civica e l'attenzione dei lettori, come una “voce di dentro”. Abbiamo criticato e annotato ogni insipienza, ogni vergognosa gestione di ospedali, servizi ed emergenze, puntando il dito su una classe politica, indistinta per colore politico, ma ben definita nella propria ignorante e perversa convinzione di farla sempre franca. Gli sconfitti di oggi erano i vincitori di ieri, tutti “commissariati” da governi centrali, interventisti e colonialisti, senza ideali ormai da decenni. I dati resi pubblici non sono contestabili, come si potrebbe tentare per altri tipi di classifiche alla moda; la condanna sorge spontanea dalla rabbia dei pazienti, dei cittadini disorientati per ospedali cancellati con un tratto di penna, mentre i veri responsabili dello scempio della sanità campana vivacchiano riciclati, con falsi curriculum "purificati" degli abusi amministrativi e di nepotismo perpetrati. Perciò non abbiamo rimpianti nel lasciare questa professione, in cui troppi corresponsabili si annidano, silenti e conniventi, e non scriveremo necrologi alla loro scomparsa. Non lo meritano, alla pari di quest'anno che finalmente muore, mentre noi abbozziamo un sorriso di timida speranza, niente di più.