Violenza sì, violenza no
Stultitiæ Laus (nella traduzione italiana “Elogio della follia”) del grande Erasmo da Rotterdam è, fuor dì ogni dubbio, uno dei più bei libri che siano mai stati scritti; esso, fra l’altro, non dimostra la sua età, che supera, sia pur di poco, il mezzo millennio, conservando una sconcertante e graffiante attualità. Rileggendolo, mi aveva punto vaghezza di cimentarmi in un “Elogio della violenza”, sfidando Chesterton sul terreno del paradosso. Mi sono poi guardato nello specchio della coscienza e mi sono detto: “Addó' t’abbìi?”, un po’ intimorito dalla gigantesca statura degli scrittori che avevo pensato di emulare. La montagna ha così partorito il topolino: quest’articoletto che, passando in rassegna diversi fatti di cronaca dell’ultima settimana, li inquadra, a vario titolo e con diverse valutazioni, nell’idea della violenza. Cominciamo con la violenza familiare. Un genere che risale all’omicidio primordiale, quello di Caino che ammazza il fratello. Ai giorni nostri, però, questo tipo di violenza dilaga e non si riduce al femminicidio di cui tanto discorrono politici e gazzettieri: i mariti uccidono le mogli, ma anche le mogli uccidono i mariti, padri e madri uccidono i figli, i figli uccidono i genitori, addirittura i nipoti uccidono le nonne, i fratelli si uccidono fra loro, confermando l’antico detto “fratelli coltelli”. A volte la violenza familiare trabocca fuori delle mura domestiche e colpisce estranei, ignari passanti. È accaduto a Napoli venerdì scorso, quando Giulio, infermiere al Cardarelli, non si è accontentato di ammazzare la sorella e il cognato, ma ha continuato con freddezza e tenacia il suo tiro al bersaglio dal balcone, provocando altri due morti. Non c’è possibilità di elogiare questa violenza, ovviamente: ci si può soltanto chiedere se essa sia figlia della follia o di possessione diabolica. La tragedia, a volte, genera però la farsa: così il sindaco de Magistris ha proclamato il lutto cittadino, rinviando l’inaugurazione del metró di Piazza Municipio. Mi sa dire qualcuno cosa ha a che vedere un tragico fatto di cronaca avvenuto fra Secondigliano e Miano con l’apertura della nuova stazione ai piedi del Maschio Angioino? Non sarebbe stato più serio ammettere che, mancando Renzi, veniva meno la comparsata programmata (Matteo con Giggino, Giggino con Matteo)? Oppure, più semplicemente ancora, che la stazione non era pronta? Ipotesi, questa, meno probabile, dappoiché sempre, nel recente passato, si sono fatte inaugurazioni non seguite dall’inizio del servizio pubblico. Passiamo a un’altra specie di violenza, quella politica. Mi riferisco, qui, alla politica interna, quella guerra fra bande per occupare redditizi posti di potere che, eufemisticamente, gli interessati continuano a chiamare democrazia. Qui un elogio sarebbe possibile: quale onesto cittadino non ha sognato, almeno una volta, di condurre a termine una strage in uno dei santuari di “questa” democrazia? Purtroppo, però, quella che viene consumata in Italia da molti decenni non è la santa violenza del cittadino martire del sistema, ma è violenza rossa bella e buona. La vittima di turno è Matteo Salvini, leader della Lega Nord che vorrebbe espandersi anche al Sud: coloro che vogliono impedirgli con la violenza di parlare non sono fascisti, bensì i soliti “gentiluomini” dei centri sociali, tanto cari alla sinistra. Nulla di nuovo: ricordate quando i rossi bruciarono la stazione di servizio a Casalecchio per impedire un comizio di Almirante a Bologna? E per tacer d’altri (che un elenco sarebbe davvero troppo lungo), chi usa sistematicamente la violenza per impedire che Giampaolo Pansa presenti i suoi libri? Gli eredi della resistenza filo stalinista e dei suoi “triangoli della morte”, appunto. Ora Salvini non può essere certo paragonato a Bernardo Tanucci o a Luigi de’ Medici, ma la persecuzione che sta subendo lo eleva al livello di più autorevoli vittime, come Presidenti della Repubblica (Segni fatto morire e Leone perfidamente diffamato) e del Consiglio (Bettino Craxi moto in esilio e Silvio Berlusconi colpito da una statuetta e poi politicamente ucciso con un’iniqua sentenza); quel che è peggio, lo rende perfino simpatico e credibile. Terzo, la violenza spicciola. Penso alla ragazzina cristiana picchiata da un ragazzino musulmano perché portava la croce e al gruppo di migranti musulmani che ha disturbato una processione. Spicciola, dicevo, ma non meno allarmante, poiché, ancora una volta, dimostra l’intenzione di tutti gli immigrati musulmani: imporre la sharia nei paesi ove arrivano. Come in Arabia Saudita, mostrare una croce dovrebbe essere un delitto. Non c’è quindi né da elogiare né da scherzare, tanto più che un imam nostrano (non mi risulta che l’abbiano rimpatriato) sostiene sul web che, in base alla terza sura, nessun altro culto è lecito (non solo in Arabia Saudita, ma in tutto il mondo). Qualitativamente, questo tipo di violenza è uguale a quella dei terroristi musulmani che, come ci hanno informato i servizi inglesi, vengono in Italia sui barconi, come già l’Isis aveva annunciato qualche mese fa. Amato dice che a lui non risulta, mentre la Pinotti ammette che sia possibile. Secondo me Alfano non ci fa, ci è. In un paese dove tre magrebini da rimpatriare se la filano indisturbati dall’aereo, dove prende il ministrucolo siculo le certezze con cui vuole abbabbiare gli italiani? Last, in breve, but not least, tre casi di violenza statale. Morsi, cui erano già stati inflitti venti anni per strage, è stato condannato a morte per aver fatto evadere i capi dei Fratelli Musulmani. Gli Usa sono indignati. Io no, e non solo perché si toglie di mezzo un integralista. L’uccisione dei nemici politici è uno sport antico e non comprendo come possano indignarsi gli americani, che hanno fondato un ordine nuovo sul processo di Norimberga e su Piazzale Loreto. Gli Usa sono andati via terra a far fuori alcuni dirigenti dell’Isis. Ben fatto, direi. Essi mandano i loro shahid qui da noi ad ammazzare tranquilli cittadini indifesi, perché non si dovrebbe andar lì ad ammazzare i dirigenti della pregiata macelleria islamica? La Corte americana ha condannato a morte Dkhokhar Tsarnaev, ventunenne di origine cecena autore della strage alla maratona di Boston nel 2013. Mi sta bene. Il fatto che abbia ventun anni non mi commuove, perché gli islamici insegnano ai bambini, fin dai dieci anni se non prima, a uccidere gli infedeli. Ventun anni, perciò, non sono per un islamico pochi come per un non islamico. Tsameav, poi, non ha fatto una piega. Da buon shahid, attende l’esecuzione della pena per spassarsela con le vergini che lo aspettano nel suo paradiso. Questa violenza, allora, va elogiata, perché, come insegna l’esperienza dei terroristi di Guantanamo che furono liberati, solo la morte può impedire a un terrorista islamico di nuocere ancora. In fin dei conti, noi non ci sognamo di condannarli a morte sol perché esibiscono il Corano o gettano il crocefisso dal balcone!