L’uomo e la terra, la “filosofia” di Paolo Scudieri
di Mimmo Sica
Mer 19 Aprile 2017 15:21
Paolo Scudieri (nella foto), ingegnere industriale, è l’amministratore delegato del Gruppo Adler-Hp Pelzer ed è alla guida di Eccellenze Campane, il Polo del Gusto di via Brin 69. Cavaliere del lavoro, fra le varie cariche ricopre quella di Presidente di Srm, il Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, di componente del cda del Banco di Napoli e di quello di Fincantieri, di presidente di Dattilo (Distretto Alta Tecnologia Trasporti e Logistica), costituito in Campania nel 2013 come braccio operativo della Regione per sviluppare progetti di ricerca nel settore dei trasporti e della mobilità, ed è membro del board della Newco Tfa per l’acquisizione di Firema Spa. Ha quattro figli: Achille, Luca, Milena e la piccola Maria Sole. Vive a Napoli con la sua compagna Rosanna Iervolino e ha la passione per le corse automobilistiche, la pittura e le immersioni. «Mi definisco un operaio semplice che tutti i giorni cerca di imparare qualche cosa in più - spiega - In ogni momento della mia vita ho cercato di mettere passione in tutto quello che facevo, guardando a 360° il contesto in cui lavoravo». Da dove le deriva questa passione così intensa? «Sicuramente dal fatto che mio padre, Achille, faceva lo stesso mestiere. La mia abitazione, come si usava un tempo, si trovava al piano superiore della Adler che mio padre fondò ad Ottaviano nel 1956». Perché questo nome? «Adler significa aquila in tedesco. È la nostra immagine ristilizzata nel tempo». Quando è diventato imprenditore? «Forse lo sono stato fin dalla nascita. Da bambino giocavo saltellando sui blocchi di poliuretano, una sintesi polimerica di materiali espansi che, una volta lavorati, diventano prodotti per il comfort. A circa 16 anni ho cominciato a capire la loro potenzialità e facevo i miei primi esperimenti come un piccolo chimico, coadiuvato da Giovanni Annunziata, un collaboratore di mio padre che ora non c’è più e che è stato il mio primo maestro “di pratica”. Nel 1982 sono entrato in azienda e nel 1990 ho assunto la carica di amministratore. All’epoca avevamo solo lo stabilimento di Ottaviano». Qual è stato il suo primo approccio con il mercato? «Con l’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco. L’Alfa 33 aveva dei problemi con l’accoppiamento delle lamiere. Con un prodotto innovativo e molto particolare li risolsi. Entrare in Alfa Romeo è stato difficilissimo. Quando giovanissimo mi presentai all’ufficio acquisti di Arese, mi dissero: “ma tu come sei arrivato qua? Per essere un nostro fornitore occorre essere raccomandati da un politico, da un ecclesiastico o da un militare”. Risposi che portavo come referenze un risultato tecnico. Evidentemente era talmente radicato in loro questo metodo di approcciare il mercato che riuscii a fornire quel prodotto, ma per crescere ebbi moltissime difficoltà. Fino a quando l’Alfa Romeo, dico fortunatamente, non fu acquistata dalla Fiat». Perché? «Le metodologie erano ben diverse e si basavano sulla competitività, sull’apertura all’innovazione, per cui da quel momento in poi ci fu un’evoluzione esponenziale del nostro apporto all’industria automobilistica e la nostra azienda cominciò a crescere, a seguire quel cliente e a internazionalizzarsi insieme a lui. Nacque la nostra partnership con il marchio torinese ». Ha vissuto da giovane imprenditore la svolta epocale della globalizzazione. Come l’ha affrontata? «Quando nei primi anni ’90 abbiamo cominciato a parlare di globalizzazione spinta, abbiamo tralasciato l’interpretazione del mondo intesa come gestione degli uomini. Abbiamo dato ampio respiro al “mercatismo”, a qualche cosa che premiava la produttività avulsa dall’importanza degli uomini. Siamo stati ottimi consumatori acquistando merci a basso prezzo, premiando aree del mondo che probabilmente poco avevano a che fare con la nostra comunità ed economia. Dopo qualche anno ci siamo accorti che avevamo creato delle discrepanze». Quindi? «Partendo dal presupposto che la globalizzazione è un elemento fondamentale, ma che l’intesa tra popoli, uomini e lavoro è altrettanto fondamentale, ci siamo accorti che evidentemente non solo dovevamo premiare i luoghi di competitività, ma anche rigenerare quei mondi del sapere che avevamo abbandonato. Nella mia visione ho avviato il processo di globalizzazione aprendo il primo stabilimento in Polonia, l’Adler Polska, poi in Brasile, l’Adler do Brazil, quindi in Turchia, Pimsa Adler. Nel corso degli anni ci siamo espansi ed ora siamo presenti in 22 paesi del mondo con 62 stabilimenti di produzione di prodotti, sistemi, comfort all’interno di autovetture o autoveicoli in genere e nei quali impieghiamo 13.500 persone. Entro l’anno saremo anche in Sud Africa. Abbiamo, poi, esteso le nostre attività al settore aeronautico, dove curiamo con la stessa dedizione gli interni di aerei e di elicotteri». Ma in questo modo non ha dato vita ad un processo di delocalizzazione? «Assolutamente no. Con la globalizzazione non ho mai inteso abbandonare l’Italia dove abbiamo 11 stabilimenti, da Nord a Sud. Le nostre sono state localizzazioni e non delocalizzazioni». Come fate a dialogare con tante realtà così diverse tra loro? «A quasi 57 anni, posso affermare sicuramente che il mondo è straordinario ed è meraviglioso perché fortunatamente si basa su un fattore primario, e cioè sugli uomini. Se capìti, se premiati, se integrati in una qualsiasi squadra, dallo sport alle professioni, si possono trarre elementi di successo comunemente interpretati, di evoluzione e di premialità sociale. Io ho un team molto efficiente dove ho dato sempre molto valore all’essere umano, sia come persona che come professionista. Dove c’è povertà evidentemente esiste un fattore che non viene preso in considerazione, appunto gli uomini. La mia realtà è come un condominio dove dobbiamo essere tutti rispettosi degli altri e di tutto quello che ci circonda». Quali sono le regole fondamentali che sottendono il Gruppo? «Sono quattro, profondamente radicate nel dna di Adler-Pelzer: progredire regolarmente a livello globale, ascoltare il mercato ed essere pronti ad assecondarlo, investire sempre in ricerca e innovazione, garantire la soddisfazione di azionisti e clienti. Il tutto secondo il motto dell’azienda “facendo meno rumore possibile” ». Lei parte come self made man. È ancora possibile questo ruolo in un mondo globalizzato? «Per seguire il mondo non si può essere più self made man, cioè autoreferenziali. Occorre far crescere uno staff e circondarsi di collaboratori per potere seguire le strategie che vengono dall’andamento del mercato e avere quell’appeal, quel rispetto nei confronti delle visioni internazionali del mondo. Da noi c’è massima apertura, ma ognuno deve rispettare i limiti del proprio ruolo. Si premia il merito e l’attaccamento all’azienda. Il lavoro delle donne, poi, è straordinario. In molti stabilimenti sono loro a guidarne le redini. Come a Pesaro, per esempio, dove si producono rivestimenti in pelle cuciti a mano per le auto “premium”». Qualche esempio di quello che producete? «Realizziamo tutto ciò che attiene al rivestimento interno di una vettura o di un elicottero, dal tappetto alla plancia di bordo ». Siete pienamente calati nell’industria 4.0… «Oggi si assiste alla nascita di tecnologie capaci di rendere molto più produttivo e automatico tutto ciò che è industria. L’industria 4.0, di fatto, rappresenta l’intersezione delle tecnologie più avanzate, dalla robotica più spinta ai big data, con cui possiamo meglio interpretare gli usi e costumi del consumatore, i suoi gusti, le sue emozioni e così sensibilizzarlo all’acquisto di un determinato prodotto». In Italia siamo pronti per questo nuovo modo di fare industria? «Come sempre l’eccessiva burocratizzazione rallenta il nostro processo di adeguamento ai cambiamenti epocali». Eccellenze Campane come nasce? «È necessaria una premessa. Sono convinto che se c’è un mondo industriale così spinto, dall’altro lato esiste un mondo altrettanto spinto proiettato verso la riscoperta della terra, delle radici dell’uomo. Come dicevamo, l’industria 4.0 nella massima automazione e cibernetizzazione porterà alla creazione di nuove figure professionali sempre più “premium” a discapito di quelle non qualificate che rischieranno di rimanere fuori dal mondo del lavoro. Se questo accadesse contemporaneamente nel mondo, si stima che 10 milioni di lavoratori sarebbero fuori dal settore manufatturiero. Naturalmente il processo sarà nella realtà molto graduale e meno drammatico. Contemporaneamente, però, stiamo assistendo ad una riscoperta di quelli che sono i valori della tradizione, come mangiare bene per stare bene. C’è quindi un aumento della domanda di prodotti genuini, bio e non ogm. Questa è una declinazione che porrà di nuovo sull’altare della giustizia quei luoghi che sono stati abbandonati nel corso degli ultimi anni. Dobbiamo mutuare le esperienze di organizzazione e di sistema fatte dall’industria per esportarle, sempre nel rispetto della natura. Da qui l’idea di Eccellenze Campane». Quando l’idea è diventata realtà? «Come conseguenza di una arrabbiatura. Una sera, uscendo da una riunione di lavoro a Detroit, nel Michigan, avevo una fame tremenda. Era tardi e l’unico locale aperto era solo una pseudo pizzeria che fa parte di una catena internazionale quotata a Wall Street. C’era di tutto tranne quello che secondo i crismi che conosciamo è la pizza. Uscii da quel luogo senza mangiare e dissi a me stesso che quel settore andava rivoluzionato. Tra mille cose che avevo da fare capii che era una missione da intraprendere, perché ci sono spazi enormi nel nostro territorio da dedicare all’agricoltura e alla gastronomia». Che cosa è Eccellenze Campane? «Un polo agroalimentare con sede a Napoli, che riunisce piccole imprese locali, operanti nei diversi comparti del settore di riferimento». Qual è il suo obiettivo? «Promuovere e valorizzare le eccellenze agroalimentari direttamente dal produttore al consumatore, senza passaggi intermedi, nella logica della filiera corta concentrando in un’unica struttura le migliori produzioni regionali». Eccellenze Campane dov’è presente? «Oltre alla sede principale di via Brin 69, nel cuore di Napoli Est, siamo presenti a via Partenope con Eccellenze Campane Mare, una struttura che si sviluppa su una superficie di circa 200 metri quadrati, di cui 100 sono dedicati alla ristorazione per 60 posti a sedere e 100 all’area store. Il suo logo è caratterizzato da una stella marina. Abbiamo inaugurato poi un locale a Londra e tra poco apriremo a Milano. Puntiamo anche ad un’apertura in Brasile, a San Paolo». Qualche numero? «A tre anni dall’inaugurazione della Terra del Buono, abbiamo registrato oltre 2,5 milioni di visitatori e circa 1 milione di specialità made in Campania, 200mila pizze e 100mila panuozzi sfornati, olre 800mila caffè e 150mila sfogliatelle servite ».